Nel 23 a.C. Orazio
riprende a scrivere e, abbandonata, con la pubblicazione delle “Odi”,
l'esperienza lirica, decide di dedicarsi alle meditazioni morali.
Nella prima delle sue
“Epistole”, spiega al suo amico Mecenate i perché di questa sua
scelta :
Ut nox longa quibus mentitur amica,
diesque
longa videtur opus debentibus, ut
piger annus
pupillis, quos dura premit custodia
matrum;
sic mihi tarda fluunt ingrataque
tempora, quae spem
consiliumque morantur agendi naviter
id quod
aeque pauperibus prodest,
locupletibus aeque,
aeque neglectum pueris senibusque
nocebit..
Come la notte sembra
lunga a chi attende l'amica che non verrà, e la giornata
pare lunga allo schiavo
costretto alla fatica, come pigro l'anno
passa per il pupillo
che è soffocato dalla dura tutela della madre;
così a me lento e
ingrato scorre il tempo, che ritarda la speranza
ed il consiglio di
dedicarmi completamente a ciò
che giova sia al povero
che al ricco
e, se trascurato, è
destinato a nuocere sia al fanciullo che all'anziano..
Si è giunti, quindi, ad
un giro di boa: dopo i versi eleganti ed i piacevoli divertimenti
(Orazio è un epicureo), è ora di dedicarsi alla ricerca di ciò che
è virtuoso e che è davvero utile alla fragile esistenza dell'uomo.
E strettamente legata
alla prima è la seconda epistola, dedicata al giovane Massimo
Lollio:
Troiani belli scriptorem, Maxime
Lolli,
dum tu declamas Romae, Praeneste relegi;
qui, quid sit pulchrum, quid turpe, quid utile, quid non,
plenius ac melius Chrysippo et Crantore dicit.
dum tu declamas Romae, Praeneste relegi;
qui, quid sit pulchrum, quid turpe, quid utile, quid non,
plenius ac melius Chrysippo et Crantore dicit.
Cur ita crediderim, nisi quid te
distinet, audi.
Fabula, qua Paridis propter narratur amorem
Graecia barbariae lento conlisa duello,
stultorum regum et populorum continet aestum.
Fabula, qua Paridis propter narratur amorem
Graecia barbariae lento conlisa duello,
stultorum regum et populorum continet aestum.
Antenor censet belli praecidere
causam;
quid Paris? Ut salvus regnet vivatque beatus
cogi posse negat. Nestor componere litis
inter Pelidem festinat et inter Atriden;
hunc amor, ira quidem communiter urit utrumque.
quid Paris? Ut salvus regnet vivatque beatus
cogi posse negat. Nestor componere litis
inter Pelidem festinat et inter Atriden;
hunc amor, ira quidem communiter urit utrumque.
Quicquid delirant reges, plectuntur
Achivi.
Seditione, dolis, scelere atque libidine et ira
Iliacos intra muros peccatur et extra.
Rursus, quid virtus et quid sapientia possit,
utile proposuit nobis exemplar Ulixen,
qui domitor Troiae multorum providus urbes,
et mores hominum inspexit, latumque per aequor,
dum sibi, dum sociis reditum parat, aspera multa
pertulit, adversis rerum inmersabilis undis.
Seditione, dolis, scelere atque libidine et ira
Iliacos intra muros peccatur et extra.
Rursus, quid virtus et quid sapientia possit,
utile proposuit nobis exemplar Ulixen,
qui domitor Troiae multorum providus urbes,
et mores hominum inspexit, latumque per aequor,
dum sibi, dum sociis reditum parat, aspera multa
pertulit, adversis rerum inmersabilis undis.
Il cantore della guerra
di Troia, Massimo Lollio,
mentre tu vai
declamando a Roma, a Preneste ho riletto;
perché quello che è
bello, quello che è turpe, quello che è utile e quello che non lo è
[Omero] lo spiega
meglio e più pienamente di Crisippo e Crantore.
Il motivo per cui io creda ciò,
se non vi è qualcosa che ti tenga impegnato, ascolta.
Quel racconto, nel
quale si narra che per l'amore di Paride
la Grecia fu coinvolta
in un lunghissimo duello con i barbari
racchiude il furore
della stoltezza di re e popoli.
Antenore consiglia di
recidere la causa della guerra;
e Paride ? A regnare
tranquillo e a vivere beato
rifiuta di farsi
convincere. Nestore a comporre la lite
tra il Pelide e
l'Atride s'affanna;
il primo d'amore,
entrambi d'ira bruciano.
E
di ogni delirio di re, gli Achei ne pagano il prezzo
di
sedizione, inganno, scelleratezza, lussuria ed ira
si
pecca sia dentro che fuori le mura di Ilio.
Tuttavia,
di cosa possano virtù e sapienza
[Omero]
ci ha proposto l'utile esempio di Ulisse,
che,
vincitore di Troia, prudente, di molte genti le città
ed
i costumi osservò e trascinato per l'ampia distesa dei mari,
per
sé e per i compagni cercando il ritorno, molti affanni
patì,
non potendolo sommergere, però, le avverse onde.
Al giovane ambizioso, che
va ancora facendo esercizi declamatori nelle scuole di retorica di
Roma, Orazio, che ha appena riletto l'Iliade e l'Odissea, propone la
sua interpretazione allegorico-morale delle due opere: nessuno spiega
meglio di Omero cosa sia il bene e cosa il male e, se l'Iliade mette
in risalto le conseguenze nefaste del lasciarsi vincere dalle
passioni, l'Odissea fa intravedere a quali traguardi potrebbe ambire
l'uomo che si faccia guidare da prudenza e temperanza.
Il legame tra le prime
due epistole è, dunque, strettissimo: all'impazienza, mostrata nella
prima, di cimentarsi nella nuova esperienza di studio approfondito
della filosofia, fa eco l'esortazione, contenuta nella seconda, al
giovane Marco Lollio affinché inizi a dedicarsi a ciò che
ha veramente valore ed abbandoni il resto.
Fermiamoci qui, per oggi.