Concludiamo questa
trilogia con la vita di Costantino il Grande.
A lui si deve la
cristianizzazione dell'impero, un processo portato avanti con grande
determinazione, nonostante la maggioranza dei sudditi si riconoscesse,
allora, in altre religioni.
Ci baseremo, come avrete
intuito, sull'opera di Eusebio di Cesarea.
Mentre il pregio delle
“Vite Parallele” di Plutarco è quella di mettere in risalto luci
ed ombre dei “grandi”, l'opera del biografo e consigliere
dell'imperatore è celebrativa.
Del resto, senza i
principi di moderazione e di benevolenza del Cristianesimo, il mondo,
oggi, forse sarebbe diverso.
Inizieremo, però, con un
episodio riguardante suo padre Costanzo, in quanto riguarda un tema
“evergreen”: quello delle imposte!
Per una migliore
comprensione, ricordiamo che siamo nel periodo della c.d. “Tetrarchia
di Diocleziano”(293-305); per far fronte alle numerose rivolte
interne, infatti, l'impero era stato diviso in 4 aree territoriali,
ciascuna retta da un tetrarca:
- Diocleziano controllava le province orientali e l'Egitto;
- Galerio amministrava le province balcaniche;
- Massimiano controllava Italia, Africa settentroniale e Hispania;
- Costanzo amministrava Gallia e Britannia.
Narra l'autore che, a
causa della sua mitezza e della considerazione in cui teneva i
sudditi, Costanzo non avesse accumulato alcuna riserva di denaro
pubblico.
Diocleziano, per questo,
inviandogli dei messi, lo biasimò, accusandolo di trascurare il bene
comune.
Costanzo, allora,
trattenne i messi e chiamò a raccolta gli uomini più ricchi e disse
che c'era bisogno di denaro e che era giunto il momento di mostrare
la propria affezione all'imperatore.
Facile immaginare quale
fu l'effetto: tutti fecero a gara per dimostrare la propria lealtà e
colmarono il Tesoro con ogni genere di preziosi.
Dopodiché,
Costanzo ordinò che i messi del sommo imperatore si recassero a
vedere, di persona, le casse del Tesoro . Quindi, comandò che recassero
testimonianza di quello che avevano visto a chi lo aveva biasimato
per la penuria e che nel resoconto precisassero che tali ricchezze
non erano state ottenute a prezzo di pianti né erano il frutto di
ingiustizie, ma che si trovavano presso di lui mentre prima erano
conservate, per suo conto, da fedeli custodi.
Immagine
suggestiva, vero? La logica conclusione fu che l'imperatore, dopo
aver elogiato i sudditi, disse loro di riprendere ogni cosa e di
tornare a casa.
Vediamo, ora, come Eusebio di Cesarea
dipinge Costantino...
Come il
sole che appare sulla terra e distribuisce a tutti la sua luce
irradiante, così Costantino, mostrandosi innanzi alla reggia al
sorgere del sole, quasi si levasse insieme all'astro nascente,
faceva risplendere sul volto di tutti quelli che gli stavano vicino
la luce fulgida della propria generosità e del proprio valore. Non
era possibile stargli accanto senza ricevere alcun beneficio né
furono mai deluse le aspettative di quelli che speravano di ottenere
da lui qualche favore.
E abbondano, infatti le
citazioni sulla magnanimità dell'imperatore; tra tutte quelle sulla
sua instancabilità nelle opere di carità, anche nei confronti degli
appartenenti ad altre fedi religiose (N.D.R. : perché lo stato di
bisogno prescinde da qualsiasi altra cosa!) , la testimonianza che
più mi ha colpito è quella relativa alla particolare sensibilità
che aveva nei confronti di coloro che prima erano stati agiati e poi,
per un rovescio della sorte, erano caduti in disgrazia: Costantino ci
insegna che il vero amore fraterno consiste nell'aiutare il prossimo
a ricostruirsi una vita simile alla nostra.
Ogni eroe che si
rispetti, però, ha bisogno di un antagonista...Tra le tante
nefandezze attribuite a Licinio, scegliamo questa:
E che bisogno c'è di
ricordare le altre disposizioni che non riguardavano la Chiesa, di
come ordinò che le sofferenze dei carcerati non venissero alleviate
con distribuzioni di cibo, né che si avesse pietà di chi giaceva in
catene tormentato dalla fame, che non ci fosse assolutamente alcuna buona azione e che nemmeno coloro che, per indole, erano inclini alla
compassione fossero autorizzati a fare del bene? Questa era la più
crudele ed ingiusta delle leggi, perché andava oltre ogni ferocia:
era previsto, infatti, come punizione per coloro che avessero
mostrato pietà, che essi subissero la stessa sorte di quelli avevano
aiutato e che chi avessero compiuto qualche atto filantropico venisse
gettato in catene e ricevesse il medesimo castigo di quei miseri.
Già..Chi ha scelto la
“cattiva strada” teme perfino la bontà d'animo!
Leggiamo, infine, questo
stralcio del resoconto che Eusebio di Cesarea ci fa del discorso di
Costantino alla chiusura del sinodo, in quanto contiene, nella sua
semplicità, l'essenza del messaggio cristiano.
Per
questo occorre che ci si perdoni l'un l'altro quando si commettono
errori di poco conto e che si sia indulgenti verso la debolezza
propria della natura umana e che tutti tengano in grande
considerazione l'armonia e la concordia, in modo da non offrire
sponda allo scherno, litigando gli uni con gli altri, di coloro
sempre pronti a bestemmiare la legge divina, che sono proprio quelli
dei quali bisogna maggiormente occuparsi, in quanto possono essere
salvati se i nostri comportamenti appariranno loro degni di
emulazione. Non bisogna avere dubbi, inoltre, sul fatto che non tutti
traggono beneficio dai discorsi. Alcuni, infatti, si accontentano di
ricevere aiuto nel sostentamento, altri hanno il costume di cercare
protezione, altri apprezzano chi li tratta con benevolenza, altri
ancora amano essere onorati con doni ospitali, mentre pochi sono
quelli che amano i discorsi veritieri ed ancor più raro è chi cerca
la verità. E' necessario, perciò, adattarsi a tutti, così come fa
il medico che somministra a ciascuno il giusto rimedio per la
guarigione, in modo che gli insegnamenti che conducono alla salvezza
vengano celebrati da tutti in ogni aspetto.