Quid ergo ais?
finxisse me mihi speciosum Laureae nomen, ut esset et de qua ego
loquerer et propter quam de me multi loquerentur; re autem vera in
animo meo Lauream nihil esse, nisi illam forte poeticam, ad quam
aspirare me longum et indefessum studium testatur; de hac autem
spirante Laurea, cuius forma captus videor, manufacta esse omnia,
ficta carmina, simulata suspiria.
[Familiares, lettera
II,9)
Che dici
dunque? Che io avrei inventato il bel nome di Laura affinché [ce ne] fosse [una] e di lei
potessi parlare e attraverso lei molti parlassero di me; ma che
invece, in verità, nessuna Laura è nel mio animo, se non forse
quella dei poeti alla quale è conclamato che io aspiri con lungo e
indefesso studio; e che invece di questa Laura vivente, della quale
io sembro esser preso, tutto è prefabbricato: finti i versi,
simulati i sospiri.
Esatto, oggi parleremo di
Petrarca, per colmare un'altra delle tante lacune di questo
blog.
Come ricorderete,
Francesco amava Laura o, almeno, così diceva, perché i suoi amici
(Boccaccio in primis, ma anche G. Colonna, al quale è rivolta
questa lettera) dubitavano che Laura esistesse.
Io sono propenso a
credere, invece, che, in un modo o nell'altro, una Laura ci fosse.
Innanzitutto perché
qualche Laura c'è sempre nelle nostre vite... Ad es., Laura si
chiama la secondogenita di due miei carissimi amici...Un'altra Laura,
poi, era, decisamente, la ragazza più bella della scuola....Un'altra
ancora è una mia “nipote acquisita” e chissà quante altre ce
ne sono state e quante ancora ce ne saranno....Ne vogliamo lasciare
una a Petrarca?
In secundis, tutti noi
tendiamo ad immaginare le persone in modo diverso da quello che
realmente sono, sia nel bene che nel male, e, se è vero che i lirici
tendevano a sublimare l'Amore cantando la loro donna ideale, è
altrettanto vero che, se la persona amata non rispecchia quelli che
sono i nostri “desiderata”, non per questo esiste di meno.
Del resto, d'amore non si
ragiona ma si “sragiona” (altrimenti non è amore, è un'altra
cosa!!!!)..
E, visto che abbiamo
introdotto i ragionamenti d'amore(o gli “sragionamenti d'amore”,
anche se, forse, questi ultimi sono, tra tutte le farneticazioni che siamo costretti ad ascoltare, tra i più sensati), concludiamo riportando uno
dei sonetti più celebri e che tutti quanti abbiamo, a suo tempo,
letto.
Sonetto XXXV, “Il
Canzoniere”:
Solo et pensoso i piú
deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo
che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì
ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sí aspre vie né
sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.
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