Come avrete intuito, ho
una certa passione per la letteratura internazionale e qualche
giorno fa, cercando di mettere un po' d'ordine tra gli scaffali, ho
ritrovato un libro di letteratura romena.
E poiché, di solito, la
letteratura romena non trova spazio nei programmi scolastici,
cercherò, in qualche modo, di porvi riparo, provando, come al
solito, a non annoiarvi.
Cominciamo, quindi,
dall'inizio.. Come saprete, Traiano conquistò la Dacia a seguito di
due guerre (101-102 e 105-106) ed i Daci furono, rapidamente,
“romanizzati”. Nel 271, Aureliano dovette cedere la Dacia ai
Goti, ma né i Goti né i successivi invasori riuscirono a sradicare
la lingua romena.
Naturalmente, il romeno
fu, per molto tempo, esclusivamente lingua “parlata” ed iniziò
a divenire lingua anche “scritta” solo nel XVI secolo, con la
traduzione di alcuni testi religiosi.
Nel XVII secolo viene redatta la prima Storia della Romania e, dopo il periodo “fanariota”
e la scuola “latinista”, con l'avvento dell'Illuminismo, nasce
la letteratura romena moderna grazie, soprattutto, al lavoro di
Gheorghe Asachi e Ioan Heliade Radulescu.
Il 1840 è l'anno della
pubblicazione della rivista “Dacia literară”, ed il
periodo che va dal 1840 al 1860 è caratterizzato dal tradizionalismo
e dal nazionalismo come reazione all'Illuminismo e al classicismo di
Asachi e Heliade; il maggior esponente di questa corrente letteraria
fu il poeta e drammaturgo Vasile Alecsandri.
Il periodo successivo al
1860 è quello di Junimea, ossia “l'arte per l'arte”; il
suo maggior teorico fu Titu Maiorescu, ma per Junimea
passarono, tra gli altri, anche Mihai Eminescu e Ion Luca
Caragiale.
Fermiamoci (e
soffermiamoci) quindi, per oggi, su quest'ultimo e sulla sua commedia
“O noapte furtunoasă” (“Una notte tempestosa”).
Un ricco uomo d'affari,
il signor Dumitrache, sospetta di adulterio la moglie Veta
e mette alle costole del presunto rivale, il giovane Rică
, il suo fedele commesso Chiriac.
In realtà, l'amante
della moglie è proprio Chiriac, mentre Rică
è innamorato di Ziţa, la sorella della moglie di Dumitrache. Per
errore, Rică entra nella stanza di Veta e dopo una rocambolesca
fuga dalla finestra, viene catturato, con l'aiuto di Chiriac e di un
maresciallo, da Dumitrache.
Ziţa, però, chiarisce l'equivoco e Rică chiede, ufficialmente, la
sua mano.
Così Dumitrache, che sospettava Rică perché era invidioso della
sua gioventù e della sua eleganza, finisce per abbracciare l'ex
presunto rivale e tutto lascia presagire che Veta continuerà,
tranquillamente, a tradirlo con Chiriac.
Il bersaglio degli strali di Caragiale non sono, però, gli istituti
borghesi, ma gli appartenenti alla borghesia e la loro vanità.
Venute meno le differenze sociali sostanziali, si instaura una
competizione feroce e, a tratti, folle tra gli individui che
impedisce, di fatto, che la libertà e l'uguaglianza, sancite dalla
Carta Costituzionale delle democrazie liberali, vengano pienamente
godute.
Dumitrache, quando Rică manifesta la sua intenzione di sposare
Ziţa, mostra qual è il vero male che lo affligge:
-Ci onorerebbe molto...La dote non è grande, e Lei, sa, è qualche
gradino più su...noi siamo commercianti...
-Cittadino,-taglia corto Rică- siamo in un regime liberale: uno non
può essere al di sopra di un altro, la Costituzione non lo permette.
Rică, tuttavia, non è diverso da Dumitrache (anzi, direi che
Dumitrache è una proiezione di Rică: anche quest'ultimo si sentirà,
prima o poi, qualche gradino al di sotto di qualcuno, anche lui sarà
geloso e anche lui coltiverà le sue segrete ambizioni): per questo,
sono destinati ad intendersi.