Portiamo avanti, in
parallelo, anche la nostra trattazione storico-filosofico-letteraria
dei rapporti tra Stato e cittadino e introduciamo quindi il pensiero
di uno dei principali teorici dell'utilitarismo e del pragmatismo
democratico, il filosofo Jeremy Bentham.
In soldoni, il pensiero
di Bentham era il seguente: qualsiasi legge è una restrizione della
libertà e della felicità dell'individuo, tuttavia il governo è
chiamato a fare delle scelte; se una legge produce più effetti
positivi che effetti negativi, la legge è buona, altrimenti è
cattiva. Di conseguenza, un governo è nel giusto se con le sue
misure assicura la felicità della grande maggioranza dei suoi
cittadini.
Nella sostanza, è “la
moralità del pallottoliere” ed il trionfo della Statistica. Frasi
ad effetto a parte, l'etica utilitarista era predominante
nell'Inghilterra vittoriana tanto che Charles Dickens, che
aveva in odio tali tesi, scrisse, appunto, “Hard Times” .
“Hard Times”
(“Tempi duri”) è davvero un gran libro e non dovrebbe mai
mancare nella libreria di chi è chiamato a prendere delle decisioni
che riguardano la collettività.
Vediamo cosa ci
racconta...
Nell'immaginaria
Coketown, letteralmente “La città del carbone”, c'era spazio
solo per i “Fatti”. La città stessa era un monumento ai Fatti,
costruita secondo l'unico criterio “valido”: quello dell'utilità.
E indovinate su cosa era
basato il sistema scolastico, che aveva in Mr. Grandgrind il suo
profeta?
Now, what I want is,
Facts. Teach these boys and girls nothing but Facts. Facts alone are
wanted in life. Plant nothing else, and root out everything else. You
can only form the minds of reasoning animals upon Facts: nothing else
will ever be of any service to them.
Ora, ciò
che io voglio è: Fatti. Insegnate a questi ragazzi e a queste
ragazze soltanto i Fatti. I soli Fatti sono voluti nella vita. Non
piantate null'altro e sradicate ogni altra cosa. Si possono formare
le menti di animali dotati di ragione solo sui Fatti: nient'altro
sarà mai loro di qualche utilità.
E quindi, non c'è spazio
per la meraviglia che è tipica dell'infanzia né per la compassione
verso chi è meno fortunato. Chi è benestante, ha un bel po' di pelo
sullo stomaco e si preoccupa soltanto che venga perpetuato l'ordine
precostituito, ossia che gli appartenenti alla classe sociale più
bassa, che sono chiamati “The Hands” (“Le mani”) e che vivono
in stato di abbrutimento e di miseria, stiano al loro posto e non
avanzino rivendicazioni.
L'altro personaggio
principale è, infatti, lo spietato banchiere Mr. Bounderby, anche lui bersaglio dei sarcasmi di Dickens. Mr. Bounderby è perfino peggiore
di Mr. Grandgrind, in quanto espressione della tesi sulla presunta
superiorità morale dei ricchi. Mr. Bounderby ripete per tutto il
romanzo che lui viene dal basso e che si è fatto da solo (in verità
non è così, alla fine sua madre lo svergognerà pubblicamente): di conseguenza, “i poveri sono poveri per colpa loro”.
Ma il castello dei Fatti
crollerà e travolgerà i suoi architetti.
Mr. Grandgrind
sperimenterà sulla propria pelle il fallimento delle sue teorie, in
quanto suo figlio Tom deruberà la banca di Bounderby, dove lavorava,
e dovrà fuggire all'estero mentre sua figlia Louisa, che proprio
per l'educazione ricevuta aveva accettato di sposare Bounderby
(molto più vecchio di lei ma “buon partito”), cadrà in profonda
depressione: Mr. Bounderby, dal canto suo, rimarrà solo e morirà
di un attacco cardiaco.
L'unico personaggio che
avrà una vita felice sarà Sissy che, dopo esser stata abbandonata,
da bambina, dal padre, è stata cresciuta nella famiglia di Mr.
Grandgrind per fare un “esperimento sociale”, ossia per vedere
se, una volta educata ai “Fatti”, avrebbe abbandonato i suoi
sogni infantili.
Ma Sissy dimostrerà
subito la sua scarsa affinità con i “Fatti” e , senza
contrapporsi mai apertamente agli ingranaggi di Coketown ma
lasciandosi docilmente trascinare dalla vita, alla fine avrà
ragione.
Perché non c'è felicità
senza immaginazione e senza compassione.