Ok, facciamo un break e
lasciamo da parte , per un po', genitivo assoluto, duale,
perifrastica passiva, coniugazione di verbi e declinazione dei sostantivi del greco
antico.
Visto che è ancora tempo
di vacanze e che alcuni, per sfuggire alla calura estiva, avranno
sicuramente scelto “la montagna”, parleremo, oggi, di uno dei
libri più importanti della prima metà del Novecento: “Der
Zauberberg “, ossia “La montagna incantata” (Thomas
Mann, 1924).
Se l'obiettivo iniziale
era, forse, quello di scrivere una parodia dei sanatori dove i malati
ricchi trascorrevano degli anni, il successivo precipitare degli
eventi internazionali [Mann iniziò a scrivere “La montagna
incantata” nel 1912] spinse l'autore a ripensare e ad ampliare i
confini dell'opera.
Mentre, infatti, nella
parte iniziale è prevalente la satira verso questi luoghi di cura
dove l'aria è buona, i pasti pantagruelici, i divertimenti e gli
intrattenimenti culturali frequenti, i flirt deliziosi, ma la gente,
invece di guarire, peggiora (e anzi, chi è sano, come il
protagonista, si ammala!!), successivamente l'attenzione si sposta
sullo scontro ideologico tra le principali scuole di pensiero d'inizio secolo.
Ma procediamo con ordine.
Hans Castorp, un giovane
ingegnere, si reca a far visita a suo cugino che è ricoverato nel
sanatorio di Berghof.
Quello che doveva essere
un breve soggiorno (Hans aveva progettato di restare solo 2
settimane...), si trasforma, però, in una lunghissima degenza: il
protagonista farà ritorno alla “pianura” dopo 7 anni!!!
Resterà, infatti,
“incantato” dal micromondo con il quale è entrato in contatto
e, quando giunge il momento di tornare a casa, si ammala: anche se
inconsciamente, Hans non vuole tornare a casa senza aver soddisfatto,
prima, la sua sete di apprendimento.
Del resto, Hans è un
giovane borghese, abbastanza ricco e abbastanza colto, quindi ha
l'ambizione, legittima, di imparare non seguendo la strada
“normale” della classe sociale alla quale appartiene ma
incamminandosi, invece, per quella che lui chiama "la strada geniale” , che è più
tortuosa e passa attraverso la malattia.
E così viene colpito da
una “febbre” che proprio non vuole saperne di scomparire e
diviene, da ospite, un “paziente” del sanatorio di Berghof che,
come abbiamo avuto modo di dire, è, a tutti gli effetti, un piccolo
mondo: i pazienti sono di età, estrazione sociale e culturale
diversa e provengono da quasi tutti gli angoli del pianeta.
L'unica cosa che
differenzia veramente la “montagna” dalla “pianura” è il
trascorrere del tempo: sembra quasi che il tempo non importi o che
abbia, comunque, un valore diverso.
Così, in questi giorni
senza tempo, si costruisce l'educazione sentimentale di Hans, con il
contributo di due “pedagoghi” d'eccezione : il massone Ludovico
Settembrini ed il gesuita Leo Naphta.
Nelle diatribe
filosofiche che ne seguono, è quasi sempre quest'ultimo a riportare
la vittoria: non perché sia più colto o più intelligente ma,
semplicemente, perché è più guardingo e più malizioso.
Mentre Settembrini sogna
la liberazione dell'umanità e la sua emancipazione dalla sofferenza
attraverso il progresso e la cultura, Naphta odia e deride la
democrazia “borghese” e le sue velleità che, profetizza, saranno
spazzate via dal nascente socialismo.
Naturalmente, tra i due,
le mie simpatie vanno a Settembrini che, nonostante la malattia e la
povertà, riesce a mantenere la propria umanità e poco importa se le
sue tesi ne escano quasi sempre sconfitte: il futuro che Naphta
auspica è poco appetibile per chi la libertà ed il progresso li ha
potuti apprezzare.
Nel frattempo qualcosa
cambia, persino sulla “montagna incantata”: un nervosismo nuovo
si è fatto strada nel sanatorio.
La “Belle Époque”
sta per finire e siamo, infatti, al preludio della Prima Guerra
Mondiale.
Naphta diviene sempre più
maligno: quando l'intelligenza, anziché inseguire l'utopia, si dedica esclusivamente a stroncare le speranze altrui, diviene "ossessione" e
l'epilogo delle discussioni tra i due “pedagoghi” è drammatico.
Hans resterà ancora del
tempo sulla “montagna incantata”, prima di essere dichiarato
“guarito”.
Fatto ritorno alla
“pianura”, pur essendo tutt'altro che un “militarista”, si
arruolerà e attraverserà, anonimamente e con uno spirito nuovo, i
campi di battaglia della Grande Guerra.
Il suo periodo di
“autoformazione” si è concluso.
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