Who guesses?
“It was the best of
times, it was the worst of times, it was the age of wisdom, it was
the age of foolishness, it was the epoch of belief, it was the epoch
of incredulity, it was the season of Light, it was the season of
Darkness, it was the spring of hope, it was the winter of despair, we
had everything before us, we had nothing before us, we were all going
direct to Heaven, we were all going direct the other way....”
Esatto! Si tratta proprio
di “A Tale of Two Cities” (“Un Racconto di Due
Città”), il più grande romanzo storico di Charles Dickens.
Il fatto che, per il post
di oggi, abbia scelto lo scrittore da sempre più gettonato, grazie
alle numerose trasposizioni cinematografiche delle sue novelle,
durante le festività natalizie, che ci crediate o meno, è pura
coincidenza: ho l'abitudine di rileggere, ogni tanto, i grandi
classici e, poiché ho il testo in inglese, è stata anche una buona
occasione per fare esercizio!
Joking apart, Dickens la
considerava la migliore storia che avesse mai scritto ( la mia
preferita, invece, è, decisamente, “Hard Times”) e, in effetti,
è uno dei libri più venduti di tutti i tempi.
Ma veniamo al “Racconto
di Due Città”....Le due città sono, per l'appunto, Londra e
Parigi ed in esse si snodano le vicende private di un piccolo gruppo
di personaggi, presi nel bel mezzo della Rivoluzione Francese.
In un contesto dove i
soprusi dei nobili sono la regola, l'indifferenza verso le difficili
condizioni di vita del proletariato viene ostentata e l'applicazione
di pene crudeli è la ricetta con la quale si cerca di arginare il
dilagare di piccoli reati, cresce il rancore della popolazione che,
al limite della disperazione, abbandona ogni prudenza: Dickens
descrive gli insorti come una moltitudine felice di morire e di
sacrificarsi, anche senza la piena coscienza di ciò per cui ci si
batte.
E così, nuovi oppressori
subentrano ai vecchi: oltre ai Tribunali e alle guardie, un ruolo di
primissimo piano è svolto da Madame Defarge che, per tutta la
storia, è accompagnata dal suo luogotenente, una contadina chiamata
“The Vengeance” .
Se Madame Defarge, che è
solita ricamare il nome dei “nemici della Rivoluzione” da
uccidere nei suoi lavori a maglia, pur essendo preda di un odio
implacabile verso chiunque sia parente o affine del Marchese di St.
Evrémonde (che ha sterminato la sua famiglia) ha comunque una
parvenza di coscienza politica, “The Vengeance” non ne ha nessuna
e fa il male solo per il piacere di farlo.
E si prepara, pertanto,
il calvario di Charles Darnay, il nipote del Marchese di St.
Evrémonde, che, disgustato dalla crudeltà della sua famiglia, ha
cambiato nome e si è trasferito a Londra, dove vive insegnando le
“belle lettere” e dove si innamora di Lucie, la figlia del
dottor Manette.
Ma a contendersi la mano
di Lucie vi sono altri pretendenti...
Innanzitutto c'è
Stryver, un avvocato rampante e pieno di sé, che nell'ordine:
- decide che è ora di sposarsi
- decide che sposerà Lucie
- lo comunica al suo associato, l'altro avvocato, Sydney Carton e lo esorta a trovarsi, a sua volta, una moglie perché altrimenti finirà a breve in un baratro ancora più profondo di quello in cui già si trova (Carton ha problemi di alcolismo e depressione).
E vediamo, allora, come
procede quello che Dickens chiama, con la sua solita ironia dolente,
“a fellow of delicacy”....
Credete, infatti, che
l'egregio Mr. Stryver corra a dichiararsi? Neanche per idea....Prima,
bisogna sondare il terreno e manifesta, perciò, il suo proposito a
Mr. Lorry, un amico della famiglia Manette.
E sebbene sia ricco,
lanciato nella sua carriera e “uomo che sa stare in società”,
Stryver non ha ricevuto l'educazione sentimentale adatta per sperare
nell'amore di una vera lady come Lucie e quando Mr. Lorry glielo
spiega, in un nulla desiste dal suo proposito, così come ci si
libera da un fardello, e sostanzialmente chiude il capitolo dicendo
che quelle come Lucie sono destinate ad avere una vita grigia e a
rimpiangere, in vecchiaia, le occasioni perdute (Stryver sposerà,
poi, una ricca vedova).
E l'ultimo pretendente è
proprio Carton (“a fellow of no delicacy”) che, seguendo il
consiglio dell'avvocato “senior” di cercarsi una moglie, va a bussare alla porta di
Lucie e le dichiara il suo amore, nonostante sappia di non avere
speranze; chiede e ottiene, però, il privilegio della sua amicizia
(Lucie e, successivamente, sua figlia saranno le uniche persone a
intuire la bontà di Carton).
E così, l'unico ad
avere le carte in regola è Charles Darnay, che è un aristocratico,
è onesto e ha il cuore puro: i due si sposano e hanno una bambina.
Nel frattempo, però, a
Parigi è scoppiata la Rivoluzione e Charles riceve una lettera di
un antico servitore di suo zio, che è stato imprigionato per il solo
motivo di “aver avuto qualcosa a che fare con l'aristocrazia”.
Charles parte per la
Francia con l'intenzione di soccorrerlo ma viene subito arrestato per
poi incappare nella persecuzione di Madame Defarge, decisa a far
passar a “miglior vita” sia lui che Lucie e la loro bambina (le
quali, nonostante i pericoli, lo hanno raggiunto a Parigi).
Sarà proprio Carton a
salvare la felicità di Charles e Lucie, immolandosi per loro, e la
storia si conclude con la profezia di Carton che vede i “ferventi
rivoluzionari” prossimi ad essere messi fuori gioco dalla loro
stessa invenzione: “la guillotine”.
Come avrete potuto
leggere tra le righe, i temi cari a Dickens ci sono tutti, ma “A
Tale of Two Cities” ha, soprattutto, il pregio di rammentare, quasi
un secolo prima della “Fattoria degli animali” di Orwell, che il
rispetto verso tutti, la sensibilità per i problemi altrui e la
pietà verso l'errore sono le vere “leve” di progresso, mentre
l'autoritarismo, il menefreghismo e le “punizioni esemplari”
sono, storicamente, latori di tragedie personali e collettive.
I hope you enjoyed it.
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