Lasciamo adesso per un po' da parte Esopo (ed i politici) e dato che Natale è per definizione la festa della famiglia andiamo a vedere cosa ha da dire in proposito Natalia Ginzburg (tra l'altro, anche il suo nome cade a fagiolo!). E poi, comunque, non rimetteremo Esopo in soffita, perchè uno dei protagonisti di questo romanzo predilegeva, come il sottoscritto, Esopo ed Omero...
"Lessico famigliare" è sicuramente il romanzo più importante della Ginzburg e racconta, come molti di voi sapranno, la storia della sua famiglia, di ebrei antifascisti. Una galleria di personaggi straordinari che hanno avuto molta influenza sulla nostra storia e sulla nostra cultura si affacciano nelle pagine di questo libro, da Filippo Turati e Anna Kuliscioff agli Olivetti e a Pajetta, da Balbo a Pavese e a Leone Ginzburg e le loro vicende personali si intrecciano e si fondono con quelle della famiglia d'origine della scrittrice. Ma se ho scelto di inserire "Lessico famigliare" tra i post natalizi è perchè riprende uno dei temi a me cari, quello del legame tra le parole (e i modismi) e l'unità della famiglia.
Scrive la Ginzburg:
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti.Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia.Ci basta dire “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole.Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone.
Ed è vero, le parole sono una parte importante della nostra identità: ciascuno di noi ha in mente le sue, che spesso sono poi quelle del familiare o dell'amico (anche gli amici fanno parte della famiglia!) che non c'è più e del quale abbiamo a volte nostalgia.
E visto che questo è il post in cui si ribadisce la centralità delle parole, vediamo cosa dice, sempre in questo libro, la Ginzburg a monito sia dei professionisti della scrittura che dei "professionisti del mestiere di vivere" (e quindi di tutti):
Pavese commetteva errori più gravi dei nostri. Perché i nostri errori
erano generati da impulso, imprudenza, stupidità e candore; e invece gli
errori di Pavese nascevano dalla prudenza, dall’astuzia, dal calcolo e
dall’intelligenza. Nulla è pericoloso come questa sorta di errori.
Possono essere, come lo furono per lui, mortali; perchè dalle strade che
si sbagliano per astuzia, è difficile ritornare. Gli errori che si
commettono per astuzia, ci avviluppano strettamente: l’astuzia mette in
noi radici più ferme che non l’avventatezza o l’imprudenza: come
sciogliersi da quei legami così tenaci, così stretti, così profondi? La
prudenza, il calcolo, l’astuzia hanno il volto della ragione: il volto,
la voce amara della ragione, che argomenta con i suoi argomenti
infallibili, ai quali non c’è nulla da rispondere, non c’è che assentire..
Alla prossima.
Alla prossima.
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