Riprendiamo la nostra
rotta per l'Italia e spostiamoci dall'Abruzzo alla Calabria, anche
perché, qualche tempo fa, un collega ha scelto di tornare alla sua
terra di origine e quindi rendiamogli un affettuoso saluto.
Il libro del quale
parleremo oggi, ovviamente, è “Gente in Aspromonte”, di
Corrado Alvaro.
Romanzo meridionalista e
naturalista, che si snoda attraverso 13 episodi, ci racconta le
durezze e le dolcezze di quella terra dove, in un contesto dove i
rapporti umani (e, talvolta, anche quelli familiari) sono prigionieri
del duro mestiere di vivere, le passioni bruciano in fretta e gli odi
si consumano lentamente, il cercare una vendetta nei confronti del
rivale diviene la ragione principale del trascinarsi dei propri
giorni e le speranze nascono, crescono e poi muoiono in un battito
d'ali, con il tutto ingentilito dai colori, dai profumi, dai sapori
e dai suoni descritti dalla penna dell'autore.
Ed i figli come naturale
strumento di riscatto...Ecco così che c'è chi sceglie di vestire la
divisa, chi deve andare in seminario a studiare da prete affinché
tutti poi gli bacino la mano, chi, invece, deve cominciare da subito
a fare il pastore per non pesare sulla famiglia (tanto poi sarà
benificiato dal fratello) , chi emigra e... poi ci sono le figlie da
maritare.
Un pezzo di storia
dell'Italia ed, in fin dei conti, di tutti i paesi del mondo.
E, allora, cerchiamo,
come al solito, qualche stralcio che ci illustri sentimenti e stati
d'animo della “Gente in Aspromonte”.
Dal primo racconto, il
più lungo, che dà il titolo all'opera... La famiglia Argirò cerca
un riscatto sociale attraverso il figlio Benedetto, che studia in
seminario, ma un giorno gli bruciano la stalla dov'era la mula e così
è completamente rovinata.
[La moglie:]
Glielo aveva detto
tante volte di non menar vanto del figlio e di non gloriarsi
dell'avvenire, perché l'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca.
Signore Iddio, com'è fatta la gente! Che non può vedere un po' di
bene a nessuno, e anche se non hanno bisogno di nulla, invidiano il
pane che si mangia e le speranze che vengono su.
E purtroppo è vero,
l'invidia è un male antico e non necessariamente nasce dalle proprie
privazioni. Si può invidiare chi ha meno di noi perché, alla fine,
tutto può essere oggetto di invidia: la serenità, la bontà,
l'educazione, l'onestà, la dignità...Si potrebbe aggiungere che
l'invidia si manifesta sotto due forme, una positiva e una negativa:
la prima è quella che ci spinge ad imitare, a fare del nostro meglio
per eguagliare o superare il nostro prossimo e, alla fine, porta
benefici a tutta la comunità; l'altra, parte dalla constatazione
della propria incapacità di migliorarsi, oppure dalla consapevolezza
di non esser disposti ad accettare il rischio di un fallimento ed
allora trova sfogo nell'odio sordido verso gli altri e gioisce del
male altrui, ma è solo un mezzo gaudio (N.D.R.: è la soddisfazione
dei “cornuti”) , non favorisce lo sviluppo della comunità e,
spesso e volentieri, produce danni anche all'invidioso. E, infatti,
Antonello, l'altro dei figli degli Argirò, si dà alla macchia e
procura la rovina della famiglia Mezzatesta, che aveva rovinato la
sua. E, alla fine, quando si arrende ai Carabinieri...
Finalmente, disse,
potrò parlare con la Giustizia. Ché ci è voluto per poterla
incontrare e dirle il fatto mio.
E anche questo,
purtroppo, è un pezzo della nostra storia e della nostra cultura: il
rapporto di sfiducia nei confronti della legge e di chi l'amministra...Antonello, per avere giustizia, deve farsi brigante.
P.S. : Alle pendici
dell'Aspromonte vive l'ultima comunità che parla il grecanico, un
derivato del greco antico o del greco bizantino, da qui il titolo del
post; ἄσπρος , in greco antico, ha anche il
significato, oltre a quello del latino “asper” (aspro), di
“bianco”.
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