Ricordate il post sul best seller di Harper Lee "To kill a mockingbird" ("Uccidere un usignolo")? Pochi mesi fa, a distanza di 55 anni , Jean Louise, la protagonista (in arte: "Scout"), ritorna e ci racconta la seconda parte della sua storia in "Go Set a Watchman" ("Va', metti una sentinella").
Non ho intenzione, però, di riassumervi le vicende di Scout e della sua famiglia; il libro è troppo recente e, perciò, non mi sembra corretto: se volete sapere come va a finire, dovete leggerlo.
Mi soffermerò, invece, su alcune delle riflessioni che l'autrice ci suggerisce perchè, sebbene lo sguardo sia rivolto al Sud degli USA, le stesse tematiche le troviamo un po' ovunque (anche nella società di cui facciamo parte!).
Cominciamo dalle famiglie "progressiste" e con un nome importante, i cui membri hanno tutti un'ottima "education" e sono, almeno sulla carta, un punto di riferimento per le loro comunità. Difendere a spada tratta idee di tolleranza e di rispetto è sicuramente ammirevole, lo dico sinceramente e senza ironia, tuttavia chiudersi in un circolo e, sostanzialmente, non mescolarsi con gli appartenenti ad una classe sociale inferiore, soprattutto se questi ultimi sono spesso portati, dalle circostanze, ad essere un po' meno "politically correct", è, probabilmente, una contraddizione pedagogica: gli intellettuali svolgono una funzione importantissima, non mi stancherò di ripeterlo, ma dovrebbero stare tra la gente, perché solo così si possono cambiare i cuori.
Passiamo poi a quelli che vorrebbero salire qualche gradino sulla scala sociale...Il fatto di non essere nati nella culla giusta li costringe a parecchi compromessi perchè, mentre i rampolli famosi che vanno un po' fuori dalle righe sono considerati "eccentrici" e nessuno bada loro granchè, per chi viene dal basso l'eccentricità è imperdonabile e l'ipocrisia una virtù: bisogna comportarsi come ci si aspetta che ci si comporti in seno ad una comunità, anche se è un comportamento ottuso. Loro, al contrario dell'aristocrazia, in mezzo alla gente ci stanno, però non per educare ma per assecondare, per confermare e certificare. E', in estrema sintesi, un "do ut des".
Ma la riflessione odierna che mi sta più a cuore è la seguente: cosa spinge, in vecchiaia o comunque giunti ad un certo punto di quel cammino che è la nostra vita, uomini e donne che sono stati per molti anni tolleranti e rispettosi del prossimo, a pronunciare parole di odio o di disprezzo verso chi è diverso da loro? L'angoscia per questi giorni che volano via? La paura generata dalla maggiore consapevolezza della propria fragilità? Il rimpicciolirsi di quella cosa chiamata coscienza (N.D.R.: direbbe, a proposito, il Grillo Parlante: "quella piccola voce interiore che la gente ascolta raramente. Per questo il mondo va così male.")? Ho visto molte persone cambiare...
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