Per questa volta, lasciamo stare il Greco e concediamoci un po' di relax.
Visto che di recente ho passato un paio di giorni ad Alcalá de Henares, città natale di Miguel de Cervantes e famosa, inoltre, per la sua Università, voglio raccontarvi alcuni aneddoti su quest'ultima.
L'Università di Alcalá fu fondata nel 1499 dal cardinale Cisneros e divenne presto un centro di eccellenza. Nel 1836 fu trasferita a Madrid, divenendo l'Università Complutense (da Complutum, nome della città di Alcalá durante l'epoca romana) .
Per il suo valore architettonico, per il prestigio del suo passato e per le pressioni degli alcalaini, nel 1977 l'Università riaprì le sue aule ed oggi ospita circa 30.000 studenti.
Facciamo un passo indietro...Come potrete immaginare, una volta l'Università era “una cosa da ricchi”. I rampolli delle “famiglie bene” venivano a studiare ad Alcalá con tanto di servi al seguito.
Cisneros, comunque, offrì la possibilità di studiare anche a giovani di talento privi di mezzi; questi ultimi erano alloggiati in degli stanzoni e, a quanto pare, la parola “leonera” , che indica una stanza molto disordinata (letteralmente “gabbia di leoni”), ha origine proprio dalle condizioni in cui versavano gli stanzoni dell'Università.
Gli studenti meno abbienti, in cambio dei servigi resi agli studenti ricchi, ricevevano cibo, vesti e qualche soldino; portavano, inoltre, un cappello (la “gorra”) più grande del normale. La parola “gorrón”, ossia “scroccone” , ha origine proprio dal cappello indossato dagli studenti di Alcalá con minore disponibilità di denaro, che serviva a indicare alla popolazione locale quelli che non potevano permettersi di offrire banchetti (che, come vedremo, erano pretesi!).
Nella Spagna dei picari, del resto, quella di arrangiarsi era veramente un'arte con la A maiuscola.
Vediamo cosa avevano escogitato gli studenti più poveri per sbarcare il lunario....
Sapete come si dice in spagnolo “secchione”? Si dice “empollón” e anche questa parola ha origini “universitarie”: poiché a quei tempi le aule non erano riscaldate, è facile immaginare che d'inverno facesse un freddo cane... In cambio di un compenso, gli studenti poveri entravano nelle aule un paio d'ore prima della lezione e riscaldavano i banchi (che erano di pietra!!!) per gli studenti ricchi (“empollar” significa “covare”, ossia fare come le galline al fine di riscaldare la postazione).
Chi di voi registrava le lezioni all'Università? Beh, il registratore a quei tempi non c'era, ma un altro dei servigi resi era quello di ripetere la lezione a voce alta per lo studente pagante (gli studenti che si dedicavano a questa attività erano chiamati “repetidores”).
Va beh, ma come si svolgevano gli esami? L'esame era a tre: c'era il professore che interrogava, il candidato ed un altro professore, che aiutava un pochino chi era in difficoltà. Era sufficiente non rispondere ad una domanda per essere bocciati.
Gli studenti promossi uscivano, poi, per la porta della “Gloria” dove gli altri studenti e la popolazione locale li attendevano per festeggiarli (in cambio, dovevano offrire cibo e bevande!!!!!).
Gli studenti bocciati, invece, uscivano dalla porta degli “Asini” dove erano attesi per essere scherniti, presi a sputi (la famosa “neve” di Alcalá!!!) e tirati in aria con una coperta; lo studente negligente, infatti, veniva chiamato “el manta” (N.D.R.: a Roma, diremmo: “er coperta”!) perché era matematico che, prima o poi, sarebbe stato “manteado”.
E dei riti di iniziazione che dovevano forgiare i futuri dottori ce ne parla anche don Francisco de Quevedo nel suo “El Buscón”...
Entré en el patio, y no hube metido bien un pie, cuando me encararon y comenzaron a decir: -«¡Nuevo!». Yo por disimular di en reír, como que no hacía caso; mas no bastó, porque llegándose a mí ocho o nueve, comenzaron a reírse. Púseme colorado; nunca Dios lo permitiera, pues al instante se puso uno que estaba a mi lado las manos en las narices y apartándose, dijo:
-Por resucitar está este Lázaro, según olisca.
Y con esto todos se apartaron tapándose las narices. Yo, que me pensé escapar, puse las manos también y dije:
-V. Mds. tienen razón, que huele muy mal.
Dioles mucha risa y, apartándose, ya estaban juntos hasta ciento. Comenzaron a escarrar y tocar al arma y en las toses y abrir y cerrar de las bocas, vi que se me aparejaban gargajos. En esto, un manchegazo acatarrado hízome alarde de uno terrible, diciendo:
-Esto hago.
Yo entonces, que me vi perdido, dije:
-¡Juro a Dios que ma...!
Iba a decir te, pero fue tal la batería y lluvia que cayó sobre mí, que no pude acabar la razón. Yo estaba cubierto el rostro con la capa, y tan blanco, que todos tiraban a mí, y era de ver cómo tomaban la puntería. Estaba ya nevado de pies a cabeza, pero un bellaco, viéndome cubierto y que no tenía en la cara cosa, arrancó hacia mí diciendo con gran cólera:
-¡Baste, no le déis con el palo!
Que yo, según me trataban, creí de ellos que lo harían. Destapéme por ver lo que era, y al mismo tiempo, el que daba las voces me enclavó un gargajo en los dos ojos.
…........
In estrema sintesi, la sensibilità non era una qualità coltivata a quei tempi!!!!
Beh, visto che lo spazio di oggi lo abbiamo dedicato alla città di Cervantes, chiudiamo con l'universale monito di Don Chisciotte:
Visto che di recente ho passato un paio di giorni ad Alcalá de Henares, città natale di Miguel de Cervantes e famosa, inoltre, per la sua Università, voglio raccontarvi alcuni aneddoti su quest'ultima.
L'Università di Alcalá fu fondata nel 1499 dal cardinale Cisneros e divenne presto un centro di eccellenza. Nel 1836 fu trasferita a Madrid, divenendo l'Università Complutense (da Complutum, nome della città di Alcalá durante l'epoca romana) .
Per il suo valore architettonico, per il prestigio del suo passato e per le pressioni degli alcalaini, nel 1977 l'Università riaprì le sue aule ed oggi ospita circa 30.000 studenti.
Facciamo un passo indietro...Come potrete immaginare, una volta l'Università era “una cosa da ricchi”. I rampolli delle “famiglie bene” venivano a studiare ad Alcalá con tanto di servi al seguito.
Cisneros, comunque, offrì la possibilità di studiare anche a giovani di talento privi di mezzi; questi ultimi erano alloggiati in degli stanzoni e, a quanto pare, la parola “leonera” , che indica una stanza molto disordinata (letteralmente “gabbia di leoni”), ha origine proprio dalle condizioni in cui versavano gli stanzoni dell'Università.
Gli studenti meno abbienti, in cambio dei servigi resi agli studenti ricchi, ricevevano cibo, vesti e qualche soldino; portavano, inoltre, un cappello (la “gorra”) più grande del normale. La parola “gorrón”, ossia “scroccone” , ha origine proprio dal cappello indossato dagli studenti di Alcalá con minore disponibilità di denaro, che serviva a indicare alla popolazione locale quelli che non potevano permettersi di offrire banchetti (che, come vedremo, erano pretesi!).
Nella Spagna dei picari, del resto, quella di arrangiarsi era veramente un'arte con la A maiuscola.
Vediamo cosa avevano escogitato gli studenti più poveri per sbarcare il lunario....
Sapete come si dice in spagnolo “secchione”? Si dice “empollón” e anche questa parola ha origini “universitarie”: poiché a quei tempi le aule non erano riscaldate, è facile immaginare che d'inverno facesse un freddo cane... In cambio di un compenso, gli studenti poveri entravano nelle aule un paio d'ore prima della lezione e riscaldavano i banchi (che erano di pietra!!!) per gli studenti ricchi (“empollar” significa “covare”, ossia fare come le galline al fine di riscaldare la postazione).
Chi di voi registrava le lezioni all'Università? Beh, il registratore a quei tempi non c'era, ma un altro dei servigi resi era quello di ripetere la lezione a voce alta per lo studente pagante (gli studenti che si dedicavano a questa attività erano chiamati “repetidores”).
Va beh, ma come si svolgevano gli esami? L'esame era a tre: c'era il professore che interrogava, il candidato ed un altro professore, che aiutava un pochino chi era in difficoltà. Era sufficiente non rispondere ad una domanda per essere bocciati.
Gli studenti promossi uscivano, poi, per la porta della “Gloria” dove gli altri studenti e la popolazione locale li attendevano per festeggiarli (in cambio, dovevano offrire cibo e bevande!!!!!).
Gli studenti bocciati, invece, uscivano dalla porta degli “Asini” dove erano attesi per essere scherniti, presi a sputi (la famosa “neve” di Alcalá!!!) e tirati in aria con una coperta; lo studente negligente, infatti, veniva chiamato “el manta” (N.D.R.: a Roma, diremmo: “er coperta”!) perché era matematico che, prima o poi, sarebbe stato “manteado”.
E dei riti di iniziazione che dovevano forgiare i futuri dottori ce ne parla anche don Francisco de Quevedo nel suo “El Buscón”...
Entré en el patio, y no hube metido bien un pie, cuando me encararon y comenzaron a decir: -«¡Nuevo!». Yo por disimular di en reír, como que no hacía caso; mas no bastó, porque llegándose a mí ocho o nueve, comenzaron a reírse. Púseme colorado; nunca Dios lo permitiera, pues al instante se puso uno que estaba a mi lado las manos en las narices y apartándose, dijo:
-Por resucitar está este Lázaro, según olisca.
Y con esto todos se apartaron tapándose las narices. Yo, que me pensé escapar, puse las manos también y dije:
-V. Mds. tienen razón, que huele muy mal.
Dioles mucha risa y, apartándose, ya estaban juntos hasta ciento. Comenzaron a escarrar y tocar al arma y en las toses y abrir y cerrar de las bocas, vi que se me aparejaban gargajos. En esto, un manchegazo acatarrado hízome alarde de uno terrible, diciendo:
-Esto hago.
Yo entonces, que me vi perdido, dije:
-¡Juro a Dios que ma...!
Iba a decir te, pero fue tal la batería y lluvia que cayó sobre mí, que no pude acabar la razón. Yo estaba cubierto el rostro con la capa, y tan blanco, que todos tiraban a mí, y era de ver cómo tomaban la puntería. Estaba ya nevado de pies a cabeza, pero un bellaco, viéndome cubierto y que no tenía en la cara cosa, arrancó hacia mí diciendo con gran cólera:
-¡Baste, no le déis con el palo!
Que yo, según me trataban, creí de ellos que lo harían. Destapéme por ver lo que era, y al mismo tiempo, el que daba las voces me enclavó un gargajo en los dos ojos.
…........
In estrema sintesi, la sensibilità non era una qualità coltivata a quei tempi!!!!
Beh, visto che lo spazio di oggi lo abbiamo dedicato alla città di Cervantes, chiudiamo con l'universale monito di Don Chisciotte:
Sábete, Sancho, que no es un hombre más que otro, si no hace más que otro.
Sappi, Sancho, che un uomo non vale più di un altro se non per le sue azioni.
Quevedo Don Chisciotte
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