Oggi voglio parlarvi di un altro dei nostri problemi quotidiani, il deficit di comunicazione e di fiducia reciproca che spesso è presente nelle famiglie. Le cause sono diverse, a volte si tratta di iper-protezione, a volte dell'abitudine a nascondere i propri sentimenti (che pure ha radici antiche..)... Altri, fortunatamente meglio di me, hanno esplorato questo problema in modo scientifico, però quello che importa è che il non riuscire a confidarsi in famiglia ha effetti molto negativi e pone poco a poco delle barrire invisibili che ci renderanno irrimediabilmente più soli.
Essendo un amante dell'ottava arte, anche questa volta utilizzerò come invito alla riflessione il fantastico mondo del cinema ed il film scelto per l'occasione è appunto "Nel nome del padre" di Jim Sheridan (1993)..
A seguito di un attentato attribuito all'IRA, Giuseppe (il padre), Jerry (il figlio) e alcuni loro amici vengono arrestati e condannati a 30 anni di carcere sulla base di prove debolissime (se non addirittura falsificate).
Jerry e Giuseppe sono molto diversi tra loro: Jerry è un ragazzo forte e ribelle, Giuseppe è un uomo pacifico e malato. L'esperienza del carcere li riavvicinerà; Jerry apprenderà ad apprezzare suo padre e, alla sua morte, si impegnerà strenuamente per la riabilitazione del suo nome.
Bel film davvero, contiene anche un vero e proprio un atto di accusa nei confronti della fetida argomentazione che "ogni mezzo è buono", che molto spesso serve ai furbetti per costruire le proprie carriere con l'applauso degli eterni gonzi che dopo 2000 anni di storia non hanno ancora capito che i diritti degli altri non sono una cosa diversa dai loro diritti: sono la stessa cosa.
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