Visto che nel post precedente abbiamo parlato di uno dei 7 peccati capitali, l'Avarizia, esaminiamone un altro, la Superbia, ricorrendo, come sempre, all'aiuto dei classici.
Spolveriamo quindi questo piccolo brano di Plutarco, che ci fornisce qualche dettaglio in proposito attraverso le parole di due grandi generali, Annibale e Scipione l'Africano:
Scipione l'Africano, avendo sconfitto Annibale in Libia, non lo scacciò, ma avendo colloquiato con lui prima della battaglia gli tese la mano, e dopo la battaglia, stabilendo le condizioni, non schernì la cattiva sorte dell'uomo.
Si dice che essi si incontrarono di nuovo ad Efeso e passeggiando insieme, si misero a parlare di generali.
Annibale disse che il migliore dei generali si era dimostrato Alessandro, poi Pirro e terzo lui stesso.
Scipione, sorridendo dolcemente, disse: " Che (diresti) allora se io non ti avessi vinto?". E Annibale rispose: "In tal caso, o Scipione, non mi considererei il terzo ma il primo dei generali".
Scipione, effettivamente, è sempre stato dipinto come l'incarnazione delle virtù che fecero grande Roma, perfetto come condottiero e perfetto come cittadino. Ciò non toglie, comunque, che non fosse molto amato dai suoi concittadini: a chi è troppo onesto e troppo sicuro di sè spesso capita di essere solo.
Sappiamo bene, inoltre, noi che abbiamo tante traduzioni dietro le spalle, che non dobbiamo prendere per oro colato tutta la storiografia, volta spesso a celebrare le virtù e la pietas dei vincitori e a censurare le perversioni e la crudeltà dei vinti.
Fatto sta che comunque i due si rispettavano tanto da potersi permettere una conversazione come questa, senza inutili fronzoli. In fin dei conti, Annibale viene considerato dagli esperti come "il padre della strategia militare" e Scipione, dal canto suo, non sbagliò una mossa: normale che si ammirassero a vicenda.
Ma torniamo al tema odierno, ossia la "Superbia": difficile liberarcene perchè ci è necessaria almeno quanto la modestia. Bisognerebbe riuscire a miscelare sapientemente l'orgoglio e la consapevolezza di sè con la giusta dose di umiltà, evitando che i primi due crescano a dismisura. Se ci riusciamo, teniamoci solo quella parte di orgoglio (e chiamiamola anche superbia, boria, presunzione, snobismo o come volete) che ci spinge a rifiutare di fare quelle cose che ci vengono dettate dal nostro senso pratico (o da altri istinti poco nobili) ma che sappiamo non essere giuste.