Saltiamo a piè pari
Hobbes e Locke, perché da studente me li sono dovuti sorbire in
tutte le salse, e andiamo a trovare un uomo veramente eccezionale:
Benjamin Franklin.
Il personaggio mi ha
sempre affascinato, sin da piccolo: editore di successo, con il suo
“Poor Richard's Almanack”, che conteneva un po' di tutto,
dalle previsioni del tempo all'oroscopo, dai proverbi agli esercizi
di matematica (l'Almanacco fu fatto tradurre in italiano da
Napoleone), Padre Fondatore degli Stati Uniti d'America, inventore
(già, oltre al parafulmine, inventò le lenti bifocali e la
stufa-caminetto “Franklin” [e molte altre invenzioni gli vennero
attribuite]).
A lui dobbiamo anche
l'idea dell'ora legale.
Quello che però oggi mi
interessa mettere in risalto è il suo contributo al discorso che
poco a poco stiamo sviluppando, ossia quello dei rapporti tra
cittadino e Stato.
Per Franklin, il
benessere di una nazione dipende dalla virtù dei suoi cittadini.
Sono gli imprenditori indipendenti, con la loro laboriosità e
parsimonia, a far prosperare il Paese.
L'attenzione si sposta
quindi dalla virtù dei governanti alla virtù dell'individuo:
inutile aspettare il salvatore della Patria, rimbocchiamoci le
maniche e diamoci da fare:
Lose
no time. Be always employ’d in something useful; cut off all
unnecessary actions.
Non
perdere tempo. Sii sempre impegnato in qualcosa di utile; metti da
parte tutte quelle azioni che non servono.
L'imprenditorialità, per
Franklin, è legata, dunque, in modo indissolubile al bene comune.
L'imprenditore “cittadino modello” è quello che “gives back to
the community”, ossia colui che restituisce alla sua comunità. Il
successo è responsabilità.
Alla prossima.
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