Uno dei dibattiti più
accesi di queste ultime settimane è stato innescato per appunto
dalla proposta di concedere la cittadinanza italiana ai figli degli
immigrati nati sul nostro territorio (“ius soli”).
Beh, come al solito,
andiamo a vedere se possiamo avere qualche illuminazione dai
classici.. Del resto i Romani con la loro lungimirante politica di
inclusione (lo status di cittadino Romano poteva essere acquisito da
tutti, anche da chi era nato schiavo) costruirono un impero e fecero
una bella fetta della storia di questo nostro pianeta.
Mi è venuta in mente, in
proposito, “La difesa del poeta Archia” (“Pro Archia
poeta oratio”), un piccolo capolavoro di una nostra vecchia
conoscenza, Cicerone, di cui ho scelto di riportarvene qualche
stralcio perché ci fornisce più spunti di riflessione.
Qualche cenno
introduttivo, giusto per fornire a tutti un quadro della vicenda:
Archia era un poeta nato ad Antiochia e sottoposto a processo con
l'accusa di usurpazione della cittadinanza romana. Secondo la legge
Plauzia Papiria veniva concesso lo status di cittadino romano a tutti
i cittadini delle comunità italiche federate con Roma a condizione
che risultassero, al momento dell'entrata in vigore della legge,
iscritti nei registri di queste comunità e che regolarizzassero la
loro posizione di fronte al Pretore entro 60 giorni. Facile
immaginare che in quei giorni ci siano stati abusi, raccomandazioni
e imbrogli, fatto sta che, per complotto politico (Archia era
protetto da Lucullo, notoriamente inviso a Pompeo che lo aveva
sostituito al comando nella guerra contro Mitridate) o per eccessivo
zelo del funzionario di turno (la posizione di Archia non era proprio
solidissima, in quanto dichiarava di essere iscritto nella comunità
di Eraclea, i cui registri erano andati distrutti), il poeta viene
trascinato in Tribunale. Fortuna per lui che poteva avvalersi della
difesa del più grande avvocato di tutti i tempi che imposterà la
linea difensiva in modo estremamente originale: non solo cercherà di
colmare il “gap” di prove documentali attraverso le testimonianze
di personaggi illustri, ma dimostrerà che Archia agiva come un
“cittadino Romano”:
...Sed quoniam census
non ius civitatis confirmat ac tantum modo indicat eum qui sit census
ita se iam tum gessisse pro cive eis temporibus quibus tu criminaris
ne ipsius quidem iudicio in civium Romanorum iure esse versatum et
testamentum saepe fecit nostris legibus et adiit hereditates civium
Romanorum et in beneficiis ad aerarium delatus est a L. Lucullo pro
consule
Ma poiché l'iscrizione
al censimento non conferma il diritto di cittadinanza ma indica che
colui che è stato censito agiva da allora come cittadino, ebbene a
quei tempi colui che incrimini per non aver goduto, nemmeno a suo
giudizio, del diritto dei cittadini Romani , spesso ha fatto
testamento secondo le nostre leggi e ha adito a eredità di cittadini
Romani ed è stato segnalato all'erario tra i gratificandi dal
proconsole L.Lucullo.
In sintesi, se
l'iscrizione alle liste del censo dimostra che una persona agiva come
cittadino Romano, l'agire da cittadino Romano dimostra l'iscrizione
alle liste del censo...Devo dire che la tesi mi piace..in fin dei
conti, i bambini figli di immigrati che giocano con i miei nipoti,
adorano la pizza, litigano per le figurine e tifano, in linea di
massima, per la Roma e per Totti : quindi, se agiscono da “bambini
romani”, sono “bambini romani”.
Ma la peculiarità della
“Pro Archia poeta oratio” è l'elogio della poesia e delle
altre attività letterarie, che costituisce una parte centrale della
linea di difesa.
Sit igitur iudices
sanctum apud vos humanissimos homines hoc poetae nomen quod nulla
umquam barbaria violavit. Saxa et solitudines voci repondent bestiae
saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt: nos instituti rebus
optimis non poetarum voce moveamur?
Sia dunque sacro presso
di voi, o giudici, uomini umanissimi, questo nome di poeta che mai
nessuna gente barbara ha violato. Sassi e deserti rispondono, bestie
spesso immani sono piegate dal canto e si fermano: e noi, educati
nelle migliori discipline, non siamo commossi dalla voce dei poeti?
Cosa ci dice Cicerone?
Per prima cosa ci ricorda che la poesia e le lettere non hanno
confine. La seconda cosa su cui vorrei soffermarmi è l'espressione
“humanissimos homines” che
l'avvocato usa ad arte: non bisogna vergognarsi della propria
sensibilità perché questa ci rende qualcosa più che uomini, ci
rende “umani”, anzi “umanissimi”.
Il
post di oggi è lungo, lo so, ma c'è un ultimo stralcio che voglio
riportare:
Atque sic a summis
hominibus eruditissimisque accepimus, ceterarum rerum studia et
doctrina et praeceptis et arte constare, poetam natura ipsa valere et
mentis viribus excitari et quasi divino quodam spiritu inflari.
Inoltre
abbiamo appreso da uomini eccelsi e eruditissimi che lo studio delle
altre discipline consta di dottrina, precetti e tecnica, mentre il
poeta si avvale della [sua] natura ed è mosso dalle forze della
mente ed è animato quasi da uno spirito divino.
Giovava
ricordarlo, in quanto ancora oggi chi si dedica alle lettere spesso
non viene tenuto nel giusto apprezzamento.
Infine
le conclusioni: è ovvio che la concessione del diritto di
cittadinanza va regolamentata, tuttavia non dimentichiamo la
grandezza della nostra civiltà e della nostra storia: Cicerone, che
era un grande uomo, criticò come disumana la legge
Papia (65 a.C.) che
prevedeva l'esilio per chi esercitasse abusivamente i diritti di
cittadinanza.
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