Sono contento che il post
su Confucio abbia suscitato un po' di interesse.
Del resto, per quanto
riesca a ricordare, le scuole di pensiero orientali non si studiavano
granché nelle ore di filosofia, rischiando di creare la falsa
convinzione che i dibattiti su quali dovessero essere le fondamenta
dello Stato ideale e quali i rapporti tra cittadino e Potere fossero
riservati agli occidentali.
Non è affatto così, ci
furono “maîtres à penser” da entrambe le parti e prometto che vi
proporrò in futuro qualche altro spunto interessante in proposito.
Per il momento facciamo,
invece, un bel balzo in avanti (V secolo d.C.) perché nella
discussione che abbiamo iniziato qualche giorno fa non si può
prescindere da Sant'Agostino e dal suo “De civitate Dei”.
Può lo Stato
infischiarsene della giustizia, quella “VERA”, in nome del
pragmatismo e dell'autolegittimazione?
Dal libro IV:
Remota itaque iustitia
quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt
nisi parva regna? Manus et ipsa hominum est, imperio principis
regitur, pacto societatis astringitur, placiti lege praeda dividitur.
Hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et
loca teneat sedes constituat, civitates occupet populos subiuget,
evidentius regni nomen assumit, quod ei iam in manifesto confert non
adempta cupiditas, sed addita impunitas. Eleganter enim et veraciter
Alexandro illi Magno quidam comprehensus pirata respondit. Nam cum
idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare haberet
infestum, ille libera contumacia: "Quod tibi, inquit, ut orbem
terrarum; sed quia ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu
magna classe, imperator".
Se la
giustizia è estromessa, che cosa sono i regni se non delle grandi
bande di ladri? Perché anche le bande di ladri che cosa sono se non
dei piccoli regni? È pur sempre un manipolo di uomini che è retto
dal comando di un principe, è vincolato da un patto sociale e il
bottino viene diviso secondo la legge del consenso. Se questo gruppo
malvagio cresce con l'entrata di uomini perversi tanto che possiede
luoghi, stabilisce residenze, occupa città, soggioga popoli, assume
più evidentemente il nome di regno che gli è conferito ormai di
fatto non dall'eliminazione della cupidigia ma da una maggiore
impunità. Con eleganza e verità allo stesso tempo rispose in questo
senso ad Alessandro Magno un pirata fatto prigioniero. Quando,
infatti, il re chiese all'uomo cosa gli era venuto in mente per
infestare il mare, quello con sincera fierezza: "Lo stesso che a
te, rispose, per infestare il mondo intero; ma poiché io lo faccio
con un piccolo naviglio, sono chiamato ladro; tu perché lo fai con
una grande flotta,sei chiamato imperatore".
Beh, non risponderò oggi
alla domanda..Come sapete ci sono diversi punti di vista in proposito
e sia la Storia che la Filosofia hanno fatto molto cammino dai
giorni di Sant'Agostino. Mentre traducevo questo pezzettino del “
De civitate Dei” mi è venuto in mente, però, un film visto
qualche tempo fa: “L'educazione siberiana”, di G.
Salvatores (2013). Nella Moldavia Orientale vive una comunità di
“onesti criminali”, seguendo la guida indiscussa di “nonno
Kuzja”. Questa comunità ha infatti una sua religiosità e agisce
secondo quello che ritiene sia la volontà di Dio: é in guerra
perenne con coloro che considera “gli sfruttatori” ed è invece gentile e protettiva con i deboli. Si tratta, dunque, di uno Stato? A
modo loro, i membri seguono una via di “verità e giustizia” (e
disprezzano il denaro, quindi non rubano per cupidigia)..Pertanto, sembrerebbe che nemmeno questa comunità possa fare a meno di ispirarsi a questi
valori. Adesso, però, non ve lo racconto più: la storia è
interessante e vale la pena di vederlo.
Continueremo, comunque,
in futuro, la nostra discussione.
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