Spostiamoci dalla valle
del Belbo alle montagne abruzzesi, più precisamente in prossimità
di Avezzano...Esatto, stiamo per parlare di “Fontamara”
(Ignazio Silone, 1933). Confesso che non so spiegare il motivo
di questa scelta, io “scrivo a braccio” , senza doppie finalità,
ed il collegamento tra il romanzo di Pavese e quello di Ignazio
Silone mi è venuto naturale, quasi automatico.
Fatto sta che quando ci
si trova di fronte ad un'opera come “Fontamara”, nella quale
quasi ogni frase è affilata come una sentenza, è difficile decidere
da dove iniziare a fare le nostre riflessioni.
E allora, seguiamo il
consiglio del re in “Alice nel paese delle meraviglie”, ossia
cominciamo dall'inizio e andiamo avanti fino a quando non arriviamo
alla fine: una volta lì, ci dobbiamo, gioco forza, fermare.
Iniziamo dunque dalla
Prefazione, nella quale l'autore spiega la sua scelta di scrivere
“Fontamara”:
Io so bene che il
nome di cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, sia della
campagna che della città, è ora termine di offesa e di dileggio; ma
io l’adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio
paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di
rispetto, e forse anche di onore.
Fontamara
è quindi un racconto sulla povertà, sullo sfruttamento e
sull'assuefazione ai soprusi, ingiustizie che, ancor oggi, con buona
pace dei “negazionisti”, sono ben lungi dall'essere debellate .
Le
vicende dei protagonisti si svolgono, poi, contemporaneamente con
l'avvento del fascismo..Sapete come i fontamaresi iniziano ad
accorgersi del cambiamento? Erano abituati a percepire, in prossimità
delle elezioni, 5 lire per ogni familiare morto che veniva, poi, fatto
regolarmente votare per Don Circostanza, paladino e rovina del
paese...E così, per molto tempo, non sanno nemmeno che ci sono i
fascisti al governo finché, un giorno, vengono a sapere che le
elezioni “non servono più” e che, quindi, anche quest'aiuto
“dall'aldilà” è venuto meno.
Ma
quello che riesce a smuovere l'inamovibile gente di Fontamara è la
deviazione del corso d'acqua che irrigava i loro campi, grazie alla
petizione truffa che chiede al governo
“che il ruscello
venga deviato dalle terre insufficientemente coltivate dei
fontamaresi verso le terre del capoluogo i cui proprietari possono
dedicarvi maggiori capitali”.
Già,
quella della lotta per l'acqua, con il capitale, da una parte, che
vuole accaparrarsela e la gente, dall'altra, che resiste, è
veramente una storia infinita e le donne di Fontamara non fanno
eccezione ed insorgono bellicose. Ma non fanno in tempo ad accorgersi
di un imbroglio che cadono subito in un altro perché,
sfortunatamente, interviene in loro difesa Don Circostanza, che trova
l'uovo di Colombo:
"Queste
donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le
loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di
interpretare i loro desideri. Esiste per ciò un solo accomodamento
possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del
ruscello e i tre quarti dell’acqua che resta saranno per i
Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè, un
po’ più della metà.”
E
non c'è nulla da fare, nuovi imbrogli sono sempre in agguato...E
quando gli imbrogli non bastano più, arriva la censura......
"Ma
a Fontamara nessuno sa neppure che cosa sia la politica" osservò
giustamente Marietta.
"Nel
mio locale nessuno ha mai parlato di politica."
"Di che
si parla, dunque, se il cav. Pelino tornò al capoluogo tutto
infuriato?" chiese Innocenzo sorridendo.
"Si ragiona un
po' di tutto" riprese a dire Marietta. "Si ragiona dei
prezzi, delle paghe, delle tasse, delle leggi; oggi si ragionava
della tessera, della guerra, dell'emigrazione."
"E di
questo non si dovrebbe più parlare, secondo l'ordine del podestà"
chiarì Innocenzo. "Non è ordine speciale per Fontamara, ma in
tutta Italia è stato diramato quest'ordine. Nei locali pubblici non
bisogna più parlare di tasse, di salari, di prezzi, di leggi.”
"Dunque,
non bisogna più ragionare" concluse Berardo.
E
viene così appeso il cartello “Per
ordine del Potestà sono proibiti tutti i ragionamenti”.
E
Berardo, l'eroe ribelle del romanzo, per una volta tanto, è
d'accordo, perché “con i padroni non si ragiona”.
“Tutti
i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che
ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella
degli asini veri, che non ragionano (o fingono di non ragionare).
….Il cafone, invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può
essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dare la vita per
il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra...”.
Ma
se la censura non è sufficiente a placare gli animi di quelli che
vedono approssimarsi i tempi della fame, arriva la violenza vigliacca
del Potere.
E
vediamo come Silone descrive gli attori di queste prodezze....
Anche
loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente,
senza terra, senza mestieri, o con molti mestieri, che è lo stesso,
ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai
ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il
permesso di derubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i
fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di
giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte ed in gruppo,
cattivi, malvagi, traditori. Sempre sono stati al servizio di chi
comanda e sempre lo saranno.
Già,
ma perché riescono ad imporsi? Perché, degli altri poveri,
ciascuno pensa ai casi propri, ognuno è a capo di una famiglia e
pensa alla propria famiglia, lasciando agli altri le faccende
pubbliche.
E
così si consuma il dramma di Fontamara in una soluzione di
continuità sbalorditiva: il racconto si apre con il paese che viene
lasciata al buio (in quanto viene tagliata la luce elettrica per
morosità irrimediabile) e la gente si perde, progressivamente, in
un'oscurità sempre maggiore.