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giovedì 24 dicembre 2015

Il Primo Censimento

Una delle materie più affascinanti che ci siano è sicuramente la Demografia ed il censimento della popolazione è sempre un avvenimento di grandissimo interesse.
Tra i lavori svolti da mia madre c'è stato anche quello di supporto nella compilazione del corposo modulo cartaceo che ogni 10 anni ci viene consegnato e ricordo che mi parlava molto bene di questa sua esperienza lavorativa che l'aveva portata ad entrare nelle case di tante persone simpatiche, gente comune e star della TV, tutti accomunati da quei dubbi amletici che ci sorgono quando dobbiamo riempire dei moduli.
Anch'io, del resto, con i dati dei censimenti ho avuto qualcosa a che fare, quindi mi sembra doveroso dedicargli un po' di spazio in questo blog.
E se il primo censimento del 1861 contò circa 22.000.000 di neoitaliani, nel giro di 150 anni siamo diventati quasi 60.000.000, a dimostrazione che pian piano ce l'abbiamo fatta a diventare un grande Paese.
Ma, considerando la ricorrenza odierna, una rettifica si impone in quanto il Primo Censimento fu fatto molto prima dell'unità d'Italia e fu veramente un evento epocale.
Vediamo, allora, di cosa si trattò, così evitiamo pure di dimenticarci il Greco...
Dal Vangelo di Luca:

Nascita di Gesù - Vangelo di Luca

 
In quei giorni venne emanato un decreto da Cesare Augusto affinché tutti quanti si registrassero. Questo fu il primo censimento, essendo Quirinio governatore della Siria. E tutti andarono a farsi registrare, ciascuno nella sua città. E anche Giuseppe venne dalla Galilea, dalla città di Nazaret, alla Giudea, alla città di David, che è chiamata Betlemme, perché era della casa e della discendenza di David, per essere censito insieme alla sua promessa sposa Maria, che aspettava un bambino.
E mentre erano lì, per lei venne il tempo di dare alla luce. E diede alla luce il suo primogenito, e lo coprì con delle fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nella locanda.

Auguri a tutti.

lunedì 21 dicembre 2015

Il bandolo della matassa

Ricordate il post sul best seller di Harper Lee "To kill a mockingbird" ("Uccidere un usignolo")? Pochi mesi fa, a distanza di 55 anni , Jean Louise, la protagonista (in arte: "Scout"),  ritorna e ci racconta la seconda parte della sua storia in "Go Set a Watchman" ("Va', metti una sentinella").
Non ho intenzione, però, di riassumervi le vicende di Scout e della sua famiglia; il libro è troppo recente e, perciò, non mi sembra corretto: se volete sapere come va a finire, dovete leggerlo.
Mi soffermerò, invece, su alcune delle riflessioni che l'autrice ci suggerisce perchè, sebbene lo sguardo sia rivolto al Sud degli USA, le stesse tematiche le troviamo un po' ovunque (anche nella società di cui facciamo parte!).
Cominciamo  dalle famiglie "progressiste" e con un nome importante, i cui membri hanno tutti un'ottima "education"  e sono, almeno sulla carta, un punto di riferimento per le loro comunità. Difendere a spada tratta idee di tolleranza e di rispetto è sicuramente ammirevole, lo dico sinceramente e senza ironia, tuttavia chiudersi in un circolo e, sostanzialmente, non mescolarsi con gli appartenenti ad una classe sociale inferiore, soprattutto se questi ultimi sono spesso portati, dalle circostanze, ad essere un po' meno "politically correct", è, probabilmente, una contraddizione pedagogica: gli intellettuali svolgono una funzione importantissima, non mi stancherò di ripeterlo, ma dovrebbero stare tra la gente, perché solo così si possono cambiare i cuori.
Passiamo poi a quelli che vorrebbero salire qualche gradino sulla scala sociale...Il fatto di non essere nati nella culla giusta li costringe a parecchi compromessi perchè, mentre i rampolli famosi che vanno un po' fuori dalle righe sono considerati "eccentrici" e nessuno bada loro granchè, per chi viene dal basso l'eccentricità è imperdonabile e l'ipocrisia una virtù: bisogna comportarsi come ci si aspetta che ci si comporti in seno ad una comunità, anche se è un comportamento ottuso. Loro, al contrario dell'aristocrazia, in mezzo alla gente ci stanno, però non per educare ma per assecondare, per confermare e certificare. E', in estrema sintesi, un "do ut des".
Ma la riflessione odierna che mi sta più a cuore è la seguente: cosa spinge, in vecchiaia o comunque giunti ad un certo punto di quel cammino che è la nostra vita, uomini e donne che sono stati per molti anni tolleranti e rispettosi del prossimo, a pronunciare parole di odio o di disprezzo verso chi è diverso da loro? L'angoscia per questi giorni che volano via? La paura generata dalla maggiore consapevolezza della propria fragilità? Il rimpicciolirsi di quella cosa chiamata coscienza (N.D.R.:  direbbe, a proposito, il Grillo Parlante: "quella piccola voce interiore che la gente ascolta raramente. Per questo il mondo va così male.")? Ho visto molte persone cambiare...

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sabato 5 dicembre 2015

Ἄσπρος - Biancomonte

Riprendiamo la nostra rotta per l'Italia e spostiamoci dall'Abruzzo alla Calabria, anche perché, qualche tempo fa, un collega ha scelto di tornare alla sua terra di origine e quindi rendiamogli un affettuoso saluto.
Il libro del quale parleremo oggi, ovviamente, è “Gente in Aspromonte”, di Corrado Alvaro.
Romanzo meridionalista e naturalista, che si snoda attraverso 13 episodi, ci racconta le durezze e le dolcezze di quella terra dove, in un contesto dove i rapporti umani (e, talvolta, anche quelli familiari) sono prigionieri del duro mestiere di vivere, le passioni bruciano in fretta e gli odi si consumano lentamente, il cercare una vendetta nei confronti del rivale diviene la ragione principale del trascinarsi dei propri giorni e le speranze nascono, crescono e poi muoiono in un battito d'ali, con il tutto ingentilito dai colori, dai profumi, dai sapori e dai suoni descritti dalla penna dell'autore.
Ed i figli come naturale strumento di riscatto...Ecco così che c'è chi sceglie di vestire la divisa, chi deve andare in seminario a studiare da prete affinché tutti poi gli bacino la mano, chi, invece, deve cominciare da subito a fare il pastore per non pesare sulla famiglia (tanto poi sarà benificiato dal fratello) , chi emigra e... poi ci sono le figlie da maritare.
Un pezzo di storia dell'Italia ed, in fin dei conti, di tutti i paesi del mondo.
E, allora, cerchiamo, come al solito, qualche stralcio che ci illustri sentimenti e stati d'animo della “Gente in Aspromonte”.
Dal primo racconto, il più lungo, che dà il titolo all'opera... La famiglia Argirò cerca un riscatto sociale attraverso il figlio Benedetto, che studia in seminario, ma un giorno gli bruciano la stalla dov'era la mula e così è completamente rovinata.

[La moglie:]
Glielo aveva detto tante volte di non menar vanto del figlio e di non gloriarsi dell'avvenire, perché l'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca. Signore Iddio, com'è fatta la gente! Che non può vedere un po' di bene a nessuno, e anche se non hanno bisogno di nulla, invidiano il pane che si mangia e le speranze che vengono su.

E purtroppo è vero, l'invidia è un male antico e non necessariamente nasce dalle proprie privazioni. Si può invidiare chi ha meno di noi perché, alla fine, tutto può essere oggetto di invidia: la serenità, la bontà, l'educazione, l'onestà, la dignità...Si potrebbe aggiungere che l'invidia si manifesta sotto due forme, una positiva e una negativa: la prima è quella che ci spinge ad imitare, a fare del nostro meglio per eguagliare o superare il nostro prossimo e, alla fine, porta benefici a tutta la comunità; l'altra, parte dalla constatazione della propria incapacità di migliorarsi, oppure dalla consapevolezza di non esser disposti ad accettare il rischio di un fallimento ed allora trova sfogo nell'odio sordido verso gli altri e gioisce del male altrui, ma è solo un mezzo gaudio (N.D.R.: è la soddisfazione dei “cornuti”) , non favorisce lo sviluppo della comunità e, spesso e volentieri, produce danni anche all'invidioso. E, infatti, Antonello, l'altro dei figli degli Argirò, si dà alla macchia e procura la rovina della famiglia Mezzatesta, che aveva rovinato la sua. E, alla fine, quando si arrende ai Carabinieri...

Finalmente, disse, potrò parlare con la Giustizia. Ché ci è voluto per poterla incontrare e dirle il fatto mio.

E anche questo, purtroppo, è un pezzo della nostra storia e della nostra cultura: il rapporto di sfiducia nei confronti della legge e di chi l'amministra...Antonello, per avere giustizia, deve farsi brigante.

P.S. : Alle pendici dell'Aspromonte vive l'ultima comunità che parla il grecanico, un derivato del greco antico o del greco bizantino, da qui il titolo del post; ἄσπρος , in greco antico, ha anche il significato, oltre a quello del latino “asper” (aspro), di “bianco”.

domenica 29 novembre 2015

Il cammino dell'architetto

Riprendiamo il nostro viaggio tra i mestieri e le professioni e, dopo aver parlato di medici e avvocati, parliamo oggi degli architetti e lo facciamo attraverso uno stralcio dell'opera di Vitruvio, che all'architettura dedicò un vero e proprio trattato.
E, allora,  da "De Architectura" (Marco Vitruvio Pollione, 15 a.C), vediamo quale doveva essere, per i Romani, la formazione dell'architetto..

Cum ergo tanta haec disciplina sit, condecorata et abundans eruditionibus variis ac pluribus, non puto posse se iuste repente profiteri architectos, nisi qui ab aetate puerili his gradibus disciplinarum scandendo scientia plerarumque litterarum et artium nutriti pervenerint ad summum templum architecturae. At fortasse mirum videbitur imperitis, hominis posse naturam tantum numerum doctrinarum perdiscere et memoria continere. Cum autem animadverterint omnes disciplinas inter se coniunctionem rerum et communicationem habere, fieri posse faciliter credent; encyclios enim disciplina uti corpus unum ex his membris est composita. Itaque qui a teneris aetatibus eruditionibus variis instruuntur, omnibus litteris agnoscunt easdem notas communicationemque omnium disciplinarum, et ea re facilius omnia cognoscunt. Ideoque de veteribus architectis Pytheos, qui Prieni aedem Minervae nobiliter est architectatus, ait in suis commentariis architectum omnibus artibus et doctrinis plus oportere posse facere, quam qui singulas res suis industriis et exercitationibus ad summam claritatem perduxerunt. Id autem re non expeditur. Non enim debet nec potest esse architectus grammaticus, uti fuerat Aristarchus, sed non agrammatus, nec musicus ut Aristoxenus, sed non amusos, nec pictor ut Apelles, sed graphidos non imperitus, nec plastes quemadmodum Myron seu Polyclitus, sed rationis plasticae non ignarus, nec denuo medicus ut Hippocrates, sed non aniatrologetus, nec in ceteris doctrinis singulariter excellens, sed in is non imperitus.


Giacché questa disciplina è così ampia, abbellita e abbondante di differenti e molteplici materie, non ritengo che possano giustamente proclamarsi d'improvviso architetti se non coloro che fin dalla fanciullezza, salendo per questi gradi delle discipline, nutriti della conoscenza della maggior parte delle arti e delle lettere, siano giunti al supremo tempio dell’architettura. Ma forse sembrerà mirabile agli inesperti che la natura dell'uomo possa apprendere e ricordare un così ampio numero di dottrine. Quando si saranno resi conto però che tutte le discipline hanno delle cose in comune ed un collegamento, crederanno che ciò si possa facilmente verificare; infatti una disciplina completa è composita, come il corpo è composto di membra. E così coloro che fin dalla tenera età vengono istruiti in differenti materie, riconoscono in tutte le lettere le medesime caratteristiche e la comunicazione di tutte le discipline, e perciò conoscono tutto più facilmente. Ed è per questo che tra gli antichi architetti Pythius, che edificò eccellentemente il tempio di Minerva a Priene, dice nei suoi commentari che è opportuno che l’architetto, in tutte le arti e le discipline, possa fare di più di coloro che portarono al sommo splendore le cose singolarmente attraverso il loro industriarsi e i loro esercizi. Ma ciò in realtà non è conveniente. Infatti l’architetto non deve né può essere un grammatico, come fu Aristarco, ma nemmeno un illetterato, non deve essere un musico, come Aristosseno, ma neanche un ignorante della musica, non deve essere un pittore, come Apelle, ma nemmeno inesperto di disegno, non deve essere uno scultore, allo stesso modo di Mirone o Policleto, ma nemmeno ignaro delle regole della scultura, non deve essere, tanto meno, un medico come Ippocrate, ma nemmeno privo di nozioni di medicina, non deve eccellere in modo particolare nelle altre discipline, ma nemmeno deve ignorarle.


E, a mio avviso, probabilmente è proprio così, anche in questo mondo dell'ultra-specializzazione: che si architettino edifici, leggi, software, ecc. ecc., non si possono ignorare le lettere nè le altre discipline.

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domenica 15 novembre 2015

Mοῖρα - il pellegrinaggio di Don Alvaro

Facciamo un break e rispolveriamo uno dei classici del Romanticismo spagnolo, “Don Alvaro o la fuerza del sino” (“Don Alvaro o la forza del destino”) di Ángel Saavedra, il “Duque de Rivas”, che ci consente di allargare il discorso iniziato a proposito di indovini, vaticini e matematica.
Un po' di romanticismo, in fin dei conti, oggigiorno ci vuole e gli ingredienti necessari, nell'opera del Duque de Rivas, ci sono tutti: l'eroe coraggioso e tormentato, la “donna angelo”, l'eterna lotta tra l'amore e le convenzioni sociali, l'onore e il sentimento religioso.

¡Ángel consolador del alma mía!
¿Van ya los santos cielos
a dar corona eterna a mis desvelos?
Me ahoga la alegría...
¿Estamos abrazados
para no vernos nunca separados?
Antes, antes la muerte.
Que de ti separarme y de perderte.

Angelo consolatore della mia anima!
Vanno già i santi cieli a dar eterna corona ai miei sacrifici?
Mi affoga l'allegria...
Stiamo abbracciati
per non vederci mai separati?
Prima, prima la morte.
Piuttosto che separarmi da te e perderti.

Scontato anche il finale, con Don Alvaro che si suicida (altrimenti che eroe romantico sarebbe?) dopo aver provocato la morte, in un modo o nell'altro, di tutti quelli che la sua passione gli ha messo davanti.
E sebbene i suoi nemici cadano come mosche di fronte alla sua spada, nulla può contro il destino, i cui progetti non prevedono che i sogni dell'innamorato vengano coronati.

Baste.
¡Muerte y exterminio! ¡Muerte
para los dos! Yo matarme
sabré, en teniendo el consuelo
de beber tu inicua sangre.

E' troppo.
Morte e sterminio! Morte
per entrambi! Io togliermi la vita
saprò, avendo la consolazione
di bere il tuo sangue iniquo.

Già, Romanticismo a parte, rimane il dilemma se sia meglio essere fatalisti o sfidare il proprio fato, come Edipo. Beh, quelli di voi che appartengono al club dei “dreamers” sicuramente non avranno dubbi: se c'è una buona ragione per ribellarsi all'ineluttabilità del destino, questa è l'amore.

mercoledì 4 novembre 2015

Romanzo "Cafone"

Spostiamoci dalla valle del Belbo alle montagne abruzzesi, più precisamente in prossimità di Avezzano...Esatto, stiamo per parlare di “Fontamara” (Ignazio Silone, 1933). Confesso che non so spiegare il motivo di questa scelta, io “scrivo a braccio” , senza doppie finalità, ed il collegamento tra il romanzo di Pavese e quello di Ignazio Silone mi è venuto naturale, quasi automatico.
Fatto sta che quando ci si trova di fronte ad un'opera come “Fontamara”, nella quale quasi ogni frase è affilata come una sentenza, è difficile decidere da dove iniziare a fare le nostre riflessioni.
E allora, seguiamo il consiglio del re in “Alice nel paese delle meraviglie”, ossia cominciamo dall'inizio e andiamo avanti fino a quando non arriviamo alla fine: una volta lì, ci dobbiamo, gioco forza, fermare.
Iniziamo dunque dalla Prefazione, nella quale l'autore spiega la sua scelta di scrivere “Fontamara”:

Io so bene che il nome di cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, sia della campagna che della città, è ora termine di offesa e di dileggio; ma io l’adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto, e forse anche di onore.

Fontamara è quindi un racconto sulla povertà, sullo sfruttamento e sull'assuefazione ai soprusi, ingiustizie che, ancor oggi, con buona pace dei “negazionisti”, sono ben lungi dall'essere debellate .
Le vicende dei protagonisti si svolgono, poi, contemporaneamente con l'avvento del fascismo..Sapete come i fontamaresi iniziano ad accorgersi del cambiamento? Erano abituati a percepire, in prossimità delle elezioni, 5 lire per ogni familiare morto che veniva, poi, fatto regolarmente votare per Don Circostanza, paladino e rovina del paese...E così, per molto tempo, non sanno nemmeno che ci sono i fascisti al governo finché, un giorno, vengono a sapere che le elezioni “non servono più” e che, quindi, anche quest'aiuto “dall'aldilà” è venuto meno.
Ma quello che riesce a smuovere l'inamovibile gente di Fontamara è la deviazione del corso d'acqua che irrigava i loro campi, grazie alla petizione truffa che chiede al governo

che il ruscello venga deviato dalle terre insufficientemente coltivate dei fontamaresi verso le terre del capoluogo i cui proprietari possono dedicarvi maggiori capitali”.

Già, quella della lotta per l'acqua, con il capitale, da una parte, che vuole accaparrarsela e la gente, dall'altra, che resiste, è veramente una storia infinita e le donne di Fontamara non fanno eccezione ed insorgono bellicose. Ma non fanno in tempo ad accorgersi di un imbroglio che cadono subito in un altro perché, sfortunatamente, interviene in loro difesa Don Circostanza, che trova l'uovo di Colombo:

"Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri. Esiste per ciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello e i tre quarti dell’acqua che resta saranno per i Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè, un po’ più della metà.”

E non c'è nulla da fare, nuovi imbrogli sono sempre in agguato...E quando gli imbrogli non bastano più, arriva la censura......

"Ma a Fontamara nessuno sa neppure che cosa sia la politica" osservò giustamente Marietta.
"Nel mio locale nessuno ha mai parlato di politica."
"Di che si parla, dunque, se il cav. Pelino tornò al capoluogo tutto infuriato?" chiese Innocenzo sorridendo.
"Si ragiona un po' di tutto" riprese a dire Marietta. "Si ragiona dei prezzi, delle paghe, delle tasse, delle leggi; oggi si ragionava della tessera, della guerra, dell'emigrazione."
"E di questo non si dovrebbe più parlare, secondo l'ordine del podestà" chiarì Innocenzo. "Non è ordine speciale per Fontamara, ma in tutta Italia è stato diramato quest'ordine. Nei locali pubblici non bisogna più parlare di tasse, di salari, di prezzi, di leggi.”
"Dunque, non bisogna più ragionare" concluse Berardo.

E viene così appeso il cartello “Per ordine del Potestà sono proibiti tutti i ragionamenti”.
E Berardo, l'eroe ribelle del romanzo, per una volta tanto, è d'accordo, perché “con i padroni non si ragiona”.
Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano (o fingono di non ragionare). ….Il cafone, invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dare la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra...”.

Ma se la censura non è sufficiente a placare gli animi di quelli che vedono approssimarsi i tempi della fame, arriva la violenza vigliacca del Potere.
E vediamo come Silone descrive gli attori di queste prodezze....

Anche loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestieri, o con molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di derubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte ed in gruppo, cattivi, malvagi, traditori. Sempre sono stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno.

Già, ma perché riescono ad imporsi? Perché, degli altri poveri, ciascuno pensa ai casi propri, ognuno è a capo di una famiglia e pensa alla propria famiglia, lasciando agli altri le faccende pubbliche.
E così si consuma il dramma di Fontamara in una soluzione di continuità sbalorditiva: il racconto si apre con il paese che viene lasciata al buio (in quanto viene tagliata la luce elettrica per morosità irrimediabile) e la gente si perde, progressivamente, in un'oscurità sempre maggiore.

sabato 24 ottobre 2015

Codex - L'eredità

L'ultimo post sugli indovini mi ha fatto tornare in mente Filemazio, il “protomedico, matematico, astronomo, (forse) saggio” della bellissima canzone di Guccini: “Bisanzio”.
Chissà se è veramente esistito...Immagino che ci saranno sempre stati uomini che si siano sforzati di comprendere i passaggi epocali basandosi sulle proprie conoscenze piuttosto che su istinti poco nobili ma, comunque, cogliamo la palla al balzo per riannodarci ad uno dei nostri thread, quello degli imperi che crollano.
Come sappiamo, l'Impero Romano venne diviso alla morte di Teodosio I (395) , tra i due figli Onorio e Arcadio, in Impero Romano d'Occidente e Impero Romano d'Oriente.
Il primo, ormai allo stremo [N.D.R. : certe eredità sono davvero pesanti!!], terminerà nel 476, con la deposizione dell'ultimo imperatore legittimo Romolo Augustolo da parte del generale Odoacre, mentre il secondo durerà fino al 1453, anno della conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani.
E, allora, concentriamoci sull'Impero Bizantino e più in particolare, visto che l'interesse morboso per il talamo degli altri, specie se potenti o famosi, non accenna a diminuire, parliamo di Giustiniano I che, in proposito, sposò Teodora, donna del popolo piuttosto “chiacchierata” (Procopio di Cesarea, nella sua “Storia segreta” (un libello contro Giustiniano e Teodora), ne scrisse di cotte e di crude sul suo conto!!), facendola imperatrice.
Ma, che si trattasse di voci di corridoio o meno, poco importa (almeno al sottoscritto!!!!): Giustiniano lasciò in eredità la riorganizzazione del diritto secondo uno schema non dissimile da quello attualmente in auge in molte nazioni moderne.
La sua opera riformatrice può essere suddivisa in tre periodi:
Il primo periodo, dal 528 al 534, durante il quale videro la luce:
  1. Il “Codex Iustinianus primus o vetus” (528-529) non ci è pervenuto ma, presumibilmente, era un'ampliamento del Codice Teodosiano;
  2. Il “Digestum” e le “Istitutiones Iustiniani”(530-533)
  3. Il “Codex Iustinianus repetitae praelectionis”(534) che è quello che ci è pervenuto ed è diviso in 12 libri e 4 argomenti:
    1. diritto ecclesiastico
    2. diritto privato
    3. diritto penale
    4. diritto amministrativo e finanziario
Il secondo periodo, dal 534 al 542, caratterizzato dalle “Novellae Constitutiones”;

Il terzo periodo, dal 542 al 565, durante il quale l'attività legislativa fu più scarsa e si concretizzò attraverso l'adozione di altre “Novellae

L'insieme di queste opere costituiscono il “Corpus Iuris Civilis”, fondamento della cultura giuridica di molti paesi.
E, allora, andiamo a curiosare nel Codex del 534 e vediamo quello che prevedeva il libro IX, quello del diritto penale, per coloro che si dedicavano a “malefici, matematica e assimilabili”, così torniamo al punto da cui siamo partiti (anche se, devo confessarvi che sono un po' preoccupato, perché comunque il mio lavoro ha a che fare con i numeri e perché la parte della Statistica che mi ha sempre affascinato è quella dei modelli predittivi...).
Ad ogni buon conto:

CTh.9.16.0. De maleficis et mathematicis et ceteris similibus.
.......
CTh.9.16.4 [brev.9.13.2]
Nemo haruspicem consulat aut mathematicum, nemo hariolum. Augurum et vatum prava confessio conticescat. Chaldaei ac magi et ceteri, quos maleficos ob facinorum magnitudinem vulgus appellat, nec ad hanc partem aliquid moliantur. Sileat omnibus perpetuo divinandi curiositas. etenim supplicium capitis feret gladio ultore prostratus, quicumque iussis obsequium denegaverit.

CTh.9.16.0. Sui malefici, la matematica e altre cose simili
.
CTh.9.16.4 [brev.9.13.2]

Nessuno consulti un aruspice, un matematico o un indovino. Cessino le confidenze empie fatte ad auguri e vati. Caldei[*abitanti dell'Assiria, terra di astronomi], maghi e altri, che il volgo chiama “Malefici” per la grandezza dei loro crimini, non si dedichino più a tutto ciò. Si metta fine a ogni curiosità relativa all'arte della divinazione e d'ora in poi chiunque rifiuti di ossequiare la legge venga condannato alla pena capitale e sottoposto alla spada vendicatrice.

domenica 18 ottobre 2015

Adivina adivinanza...

Previsioni del tempo, oroscopi, sondaggi elettorali, previsioni economico-finanziarie, profezie...Che si guardi nella fatidica sfera di cristallo, si legga la mano, si osservi il volo degli uccelli o si studino le congiunzioni astrali , che si utilizzano sofisticate tecniche di analisi dei dati o si esamino le interiora degli animali, l'arte di predire il futuro ha sempre affascinato l'umanità.
E se da un lato il mestiere dell'indovino ci è sempre piaciuto, sin da quando eravamo bambini, bisogna fare attenzione...Perché non sono tutte rose e fiori.
Cominciamo da Calcante....Vediamo cosa dice Achille, in “Ifigenia in Aulide” di Euripide, a Clitennestra:

Ifigenia in Aulide - Euripide







Che uomo è un indovino, che poche verità e molte menzogne dice, ed è finito, se quello che dice non si avvera?

Già, come ho già scritto in un post precedente, Achille è eroe moderno e quindi non può non essere scettico.
Ed il Pelide fu davvero “profeta” in quanto, almeno secondo una delle versioni sulla morte di Calcante, pare che l'indovino morì a causa di una botta in testa per non aver indovinato quanti fichi avesse un albero!
E non va meglio a Tiresia, altro indovino famoso per noi nostalgici degli studi classici, che Dante mette all'Inferno tra i fraudolenti (canto XX versi 41-45).

Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne
cangiandosi le membra tutte quante;

e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.

Già, Tiresia, secondo il mito, fu cambiato in donna perché, vedendo due serpenti che si accoppiavano, uccise la femmina e tale rimase per 7 anni finché, trovandosi di fronte alla stessa scena, uccise il maschio e tornò uomo. Ebbe il dono della profezia da Zeus, dopo esser stato accecato da Era per aver rivelato il segreto del piacere femminile.
E che dire di Cassandra, che aveva il dono di predire il futuro e, al tempo stesso, era condannata a non esser mai creduta?
E gli esercenti dell'arte divinatoria non vengono risparmiati, ovviamente, dal mordace Esopo...

Indovino - Esopo

















Un indovino si era seduto in piazza e guadagnava denaro. All'improvviso, essendo venuto da lui un tale e avendogli annunziato che le porte della sua casa erano state forzate e che tutto quello che c'era dentro era stato portato via, sconvolto si alzò in piedi e gemendo corse a casa a constatare l'accaduto. Avendo assistito alla scena uno dei presenti disse:” O tu, che annunzi di prevedere le cose degli altri non sai presagire le tue?”
Di questo racconto si potrebbe fare monito per quegli uomini che gestiscono con leggerezza la propria vita e cercano di fare gli indovini delle cose che non li riguardano.

Tuttavia, per quanto abbiamo dunque accertato che quella dell'indovino è una vita grama, a volte non possiamo esimerci, quando siamo chiamati in qualità di esperti, dal fare delle previsioni se il potere lo esige.
In tal caso, occorre aguzzare l'ingegno, perché, teniamolo sempre a mente, i potenti non tollerano né gli ambasciatori latori di cattive nuove né i vati con profezie nefaste ed è meglio fare come quell'astuto indovino che, di fronte al presagio di una sorte funesta per la casa reale, seppe ribaltarne la prospettiva e disse al re che sarebbe sopravvissuto felicemente a tutti i suoi figli.

Alla prossima.

sabato 10 ottobre 2015

Ogni paese

Mi ha fatto sempre un certo effetto andare in un piccolo paese, fosse quello di mio cugino, quand'ero ragazzo, o quello d'origine della mia compagna, in questa parte della mia vita.
Sarà perché ho sempre vissuto in città o sarà, come dice Pavese, perché

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non esser soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo....

Correct! Oggi parleremo de “La luna e i falò”, probabilmente il romanzo più bello di Pavese.
E, come al solito, non ci soffermeremo molto sul racconto ma ci concentreremo su alcuni spunti di riflessione che l'autore ci suggerisce.

Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto.

Già, ognuno ha il suo piccolo mondo ed è anche probabile che i paesi si assomiglino un bel po'... Sono sicuro che molti di noi avranno avuto un amico (o un'amica) come Nuto, qualcuno che, nel bene o nel male, andava oltre il pensiero comune e che, per un periodo della nostra adolescenza, ci ha fatto un po' da mentore, affascinandoci e aprendoci nuovi occhi.
E la scoperta della sensualità e dell'amore...Volete che non ci sia stata qualcuna (o qualcuno) che abitava nelle nostre vicinanze e che, per noi, era davvero speciale? E non vi è mai capitato, a distanza di tanti anni, di pensarci e magari di voler sapere che vita avrà avuto? (NDR: Beh, adesso c'è facebook che ci facilita il lavoro ma che così toglie spazio alla fatica della ricerca e all'immaginazione che, a mio avviso, sono il vero sale dei viaggi nel passato!!! [Sarà per questo che non mi piace granché e che lo uso pochissimo? Chissà!]).
E chi di noi, una volta fatte le proprie esperienze, non ha cercato, almeno per un po', di essere mentore, a sua volta, di qualcuno, fosse un collega più giovane o un ragazzo che, comunque, gli ricordasse com'era prima, come il protagonista cerca di esserlo di Cinto?
Ed il periodo dell'impegno politico o sociale, per breve o lungo che sia stato? Ed i giorni di festa? Scommetto che ce ne sarà stato qualcuno che vi è rimasto, per una qualche ragione, nel cuore.
Del resto, cosa sarebbe un paese senza i suoi giorni di festa? Falò, toros de fuego, infiorate o encierros...Ogni paese ha il suo modo di celebrarli, al susseguirsi delle stagioni .

domenica 4 ottobre 2015

Fai il bravo...

A scanso di equivoci, non è un incitamento a intraprendere la carriera del Griso e del Nibbio ma soltanto un modismo della nostra lingua, l'equivalente di “be good” in inglese o “portate bien” in spagnolo.
Chissà quante volte, magari, le mamme di questi due galantuomini, che con ogni probabilità non parlavano né inglese né spagnolo, avranno rivolto loro queste precise parole ed i due pargoli sembrano averle prese così bene alla lettera da diventare entrambi “capi dei bravi” (rispettivamente di quelli di Don Rodrigo e di quelli dell'Innominato)!
Probabilmente la parola “bravo”, per qualificare il mestiere del Griso e dei suoi compari , viene dal latino “pravus” (malvagio), mentre in spagnolo questa parola significa “coraggioso, valoroso”.
Joking apart, per oggi niente greco né latino né letteratura ma parleremo, invece, di comportamenti e di modelli di apprendimento, perché non dobbiamo mai smettere di migliorarci imparando.
E partiamo allora dal “Behaviorismo”, scuola di pensiero creata da John B. Watson negli anni '20, che si dedica allo studio di come il processo di apprendimento influenzi il nostro comportamento.
In soldoni, il lavoro consiste nell'osservare come le persone reagiscono agli stimoli che vengono loro forniti e nel registrare le loro risposte a tali stimoli.
Non c'è ombra di dubbio che l'ambiente in cui viviamo eserciti una grande influenza sul nostro modo di comportarci, obbligandoci ad imparare nuovi modelli comportamentali e motivandoci a cambiare (oppure a restare noi stessi).
Un ruolo importante, come sottolinea B.F.Skinner, lo giocano le conseguenze che un determinato comportamento porta con sé: se il nostro modo di agire verrà ricompensato, è molto probabile che quel “modus operandi” verrà ripetuto e quindi immagazzinato (N.D.R.:“ripetendo si impara!!!!”); se, invece, verrà sanzionato, difficilmente sarà ripetuto. Ci sono, ovviamente, delle eccezioni, altrimenti non ci si spiega perché il Pierino di turno finisca sempre dietro la lavagna o perché il cappello con le orecchie d'asino alcuni non riescano proprio a toglierselo, ma comunque il ragionamento fila.
Punti di debolezza nell'approccio behaviorista, però, ve ne sono: in questo modo le persone non sono incoraggiate a sviluppare delle proprie strategie di apprendimento né delle proprie motivazioni. La nuova frontiera è quindi quella dell'interazione, di divenire parte attiva del processo di apprendimento e sicuramente Internet ci offre delle potenzialità tali che possiamo imparare tutto quello che vogliamo, come vogliamo, dove vogliamo e quando vogliamo. Dovremmo, per equità, dare anche qualcosa in cambio, quindi... Diamoci da fare!

martedì 22 settembre 2015

La figlia dell'avaro

Riprendiamo a parlare del ruolo del denaro nella società e facciamolo insieme a chi questo tema lo ha esaminato nei minimi dettagli: Honoré de Balzac.
Il libro di oggi è “Eugénie Grandet” (1833), un vero e proprio trattato sulla vita di provincia, la borghesia ed il suo rapporto con il denaro e l'amore.
Se papà Grandet incarna l'avaro per eccellenza, scaltrissimo e inflessibile, non migliori di lui sono i nobili ed i notabili che lo adulano, sperando di poter avere i suoi milioni sposandone la figlia Eugenia.
Ma andiamo per ordine e cominciamo proprio da “père Grandet” e vediamo quali sono i tratti con i quali l'avaro viene dipinto da Balzac.

Innanzitutto, perché si sceglie l'avarizia come “modus vivendi”?

La vie de l'avare est un constant exercice de la puissance humaine mise au service de la personnalité. Il ne s'appuie que sur deux sentiments: l'amour-propre et l'intérêt; mais l'intérêt étant en quelque sorte l'amour-propre solide et bien entendu, l'attestation continue d'une supériorité réelle, l'amour-propre et l'intérêt sont deux parties d'un même tout, l'égoïsme.

La vita dell'avaro è un esercizio costante della potenza umana messa al servizio della personalità. Non si basa che su due sentimenti: l'amor proprio e l'interesse; ma essendo in qualche modo l'interesse l'amor proprio solido e consapevole, l'attestazione continua di una superiorità reale, l'amor proprio e l'interesse sono due parti di un medesimo tutto, l'egoismo.

Già, il denaro a volte fa sentire onnipotenti..E la solitudine? Vediamo la stanza dell'avaro....

Personne, pas même madame Grandet, n'avait la permission d'y venir, le bonhomme voulait y rester seul comme un alchimiste à son fourneau

Nessuno, nemmeno la signora Grandet, aveva il permesso di venirci, il brav'uomo voleva restarci da solo come un alchimista al suo fornello.

Già, l'avaro non può condividere i suoi “tesori”, quindi la sua solitudine è una scelta consapevole. Né crede nell'aldilà...

Les avares ne croient pas à une vie à venir, le présent est tout pour eux. Cette réflexion jette une horrible clarté sur l'époque actuelle, où, plus qu'en aucun autre temps, l'argent domine les lois, la politique et les moeurs.
.....
Quand cette doctrine aura passé de la bourgeoisie au peuple, que deviendra le pays?

Gli avari non credono in una vita che verrà, per loro il presente è tutto. Questa riflessione getta una luce orribile sull'epoca attuale, in cui, più che in ogni altro periodo, il denaro domina le leggi, la politica ed i costumi.
.
Quando questa dottrina sarà trasferita dalla borghesia al popolo, che diverrà il paese?

Beh, oltre ad Eugenia, nel romanzo di Balzac sono proprio i suoi domestici a mantenere la purezza dell'anima...

Ni la grande Nanon, ni Cornoiller n'ont assez d'esprit pour comprendre les corruptions du monde.

Né la grande Nanon, né Cornoiller hanno abbastanza spirito per comprendere le corruzioni del mondo.

Per il resto, di fronte alla ricchezza di papà Grandet non c'è titolo nobiliare né carica pubblica che tenga: tutti pronti ad adulare Eugenia per condividere i suoi milioni...Ma chi sono gli adulatori?

La flatterie n'émane jamais des grandes âmes, elle est l'apanage des petits esprits qui réussissent à se rapetisser encore pour mieux entrer dans la sphère vitale de la personne autour de laquelle ils gravitent. La flatterie sous-entend un intérêt.

L'adulazione non proviene mai da anime grandi, è l'appannaggio degli spiriti piccini che riescono a rimpicciolirsi ancora di più per entrare meglio nella sfera vitale della persona intorno alla quale gravitano. L'adulazione sottintende un interesse.

Ancora, di fronte alla scalata sociale, purtroppo per Eugenia, non c'è nemmeno “romanticismo” che tenga...Vediamo cosa scrive Charles, il cugino elegante e raffinato, dai “sentimenti nobili” e gli “slanci generosi”, al cui amore Eugenia si era votata...

Je vous avouerai, ma chère cousine, que je n'aime pas le moins du monde mademoiselle d'Aubrion; mais, par son alliance, j'assure à mes enfants une situation sociale dont un jour les avantages seront incalculables: de jour en jour, les idées monarchiques reprennent faveur. Donc, quelques années plus tard, mon fils, devenu marquis d'Aubrion, ayant un majorât de quarante mille livres de rente, pourra prendre dans l'Etat telle place qu'il lui conviendra de choisir. Nous nous devons à nos enfants

Vi giuro, mia cara cugina, che io non amo minimamente la signorina d'Aubrion; ma, attraverso questo matrimonio, assicuro ai miei figli una situazione sociale di cui un giorno i vantaggi saranno incalcolabili: giorno dopo giorno le idee monarchiche riguadagnano terreno. Dunque, dopo un po' di anni, mio figlio, divenuto marchese d'Aubrion, avendo un maggiorasco di 40.000 lire di rendita, potrà prendere nello Stato il posto che vorrà scegliere. Abbiamo degli obblighi verso i nostri figli.

Già, per il bene dei figli (che dovranno ancora nascere!!!) si fa questo ed altro..

Post collegatiLa Commedia Umana

sabato 12 settembre 2015

Non solo prosciutti

Beh, chi non ricorda la maga Circe che trasformava in suini i compagni di Ulisse, o i maiali della “Fattoria degli animali”, di Orwell, che, alla fine, camminano su due zampe e non si distinguono più dagli uomini? Senza volersi dilungare ulteriormente, certo è che in letteratura non mancano gli esempi di maiali “umanizzati” e viceversa. E allora godiamoci questo “Testamentum Porcelli” (autore sconosciuto), citato da San Gerolamo, a testimonianza che lo scritto aveva una certa popolarità (a me ha ricordato un po' la canzone “Il testamento”, di Fabrizio De Andre').
1. Incipit testamentum porcelli: M. Grunnius Corocotta porcellus testamentum fecit. Quoniam manu mea scribere non potui, scribendum dictavi.
2. Magirus cocus dixit: "veni huc, eversor domi, solivertiator, fugitive porcelle, et hodie tibi dirimo vitam". Corocotta porcellus dixit: "si qua feci, si qua peccavi, si qua vascella pedibus meis confregi, rogo, domine cocu, vitam peto, concede roganti". Magirus cocus dixit: "transi, puer, affer mihi de cocina cultrum, ut hunc porcellum faciam cruentum". Porcellus comprehenditur a famulis, ductus sub die XVI Kal. Lucerninas, ubi abundant cymae, Clibanato et Piperato consulibus. Et ut vidit se moriturum esse, horae spatium petiit et cocum rogavit, ut testamentum facere posset. Clamavit ad se suos parentes, ut de cibariis suis aliquid dimittere eis. Qui ait:
3. Patri meo Verrino Lardino do lego dari glandis modios XXX, et matri meae Veturinae Scrofae do lego dari Laconicae siliginis modios XL, et sorori meae Quirinae, in cuius votum interesse non potui, do lego dari hordei modios XXX. Et de meis visceribus dabo donabo sutoribus saetas, rix[at]oribus capitinas, surdis auriculas, causidicis et verbosis linguam, buculariis intestina, esiciariis femora, mulieribus lumbulos, pueris vesicam, puellis caudam, cinaedis musculos, cursoribus et venatoribus talos, latronibus ungulas. Et nec nominando coco legato dimitto popiam et pistillum, quae mecum attuleram; de Theveste usque ad Tergeste liget sibi colum de reste. Et volo mihi fieri monumentum ex litteris aureis scriptum: "M.GRUNNIUS COROCOTTA PORCELLUS VIXIT ANNIS DCCCC.XC.VIIII.S(EMIS). QUODSI SEMIS VIXISSET, MILLE ANNOS IMPLESSET". Optimi amatores vei vel consules vitae, rogo vos ut cum corpore meo bene faciatis, bene condiatis de boni condimentis nuclei, piperis et mellis, ut nomen meum in sempiternum nominetur. Mei domini vel consobrini mei, qui testamento meo interfuistis, iubete signari"........
1. Inizia il testamento del porcellino: il porcellino M.Grunnio Corocotta ha fatto testamento. Poiché non potei scrivere di mio pugno, ho dettato quello che si doveva scrivere.
2. Il cuoco Magiro disse: “Vieni qui, sovvertitore della casa, distruttore del suolo, porcellino fuggitivo, che oggi ti tolgo la vita”. Il porcellino Corocotta disse: “Se ho fatto qualcosa di male, se in qualcosa ho peccato, se ho rotto con i miei piedi del vasellame, padron cuoco, ti imploro che conceda la vita a me che ti supplico.” Il cuoco Magiro disse“Va, ragazzo, prendimi il coltello da cucina affinché faccia questo porcello cruento”. Il porcellino viene afferrato dal servo e condotto il giorno 16 delle Calende Lucernine, quando abbondano i cavoli teneri, sotto il consolato di Clibanato e Piperato. E come vide che era prossimo a morire, chiese lo spazio di un'ora e pregò il cuoco affinché potesse fare testamento. Chiamò a gran voce i suoi parenti per lasciare loro qualcosa delle sue cibarie. Il quale inizia:
3. A mio padre Verrino Lardino dispongo che gli vengano consegnati 30 moggi di ghiande e a mia madre Veturina Scrofa dispongo che le vengano dati 40 moggi di fior di farina di Laconia e a mia sorella Quirina, al cui matrimonio non ho potuto prendere parte, dispongo che vengano assegnati 30 moggi d'orzo. E delle mie viscere dono ai calzolai le setole, ai litigiosi il mio grugno, ai sordi le mie orecchie, agli avvocati ed ai chiacchieroni la lingua, ai fabbricanti di salcicce di bovino gli intestini, ai salumai le cosce, alle donne i filetti, ai fanciulli la vescica, alle fanciulle la coda, agli invertiti i muscoli, ai corridori ed ai cacciatori i talloni, ai ladri gli zoccoli. E senza nominare il cuoco, gli lascio con un legato la popia ed il pestello che ho sempre portato con me; [che se ne serva] da Theveste a Tergeste e che si impicchi con una corda. E voglio che mi si faccia un monumento con ivi scritto a lettere d'oro: IL PORCELLINO M. GRUNNIO COROCOTTA VISSE 999 ANNI E MEZZO, CHE SE AVESSE VISSUTO MEZZO ANNO IN PIU' AVREBBE COMPIUTO 1000 ANNI. Carissimi amici miei e guide della mia vita, vi prego di fare del bene con il mio corpo, che lo condiate con dei buoni condimenti, di mandorle, pepe e miele, affinché il mio nome sia ricordato nell'eternità. Padroni e cugini miei, che avete presenziato al mio testamento, vogliate apporre firma.....

sabato 5 settembre 2015

AVS - Avvocati Veramente Speciali

Ricordate Peekay, il bambino inglese che, crescendo in pieno apartheid e sperimentando personalmente la crudeltà dei boeri, decide di diventare, al tempo stesso, un pugile ed un avvocato?
Beh, come vi avevo anticipato tempo fa, il romanzo "The power of one" ( Bryce Courtenay) ha un seguito, “Tandia” (N.D.R. : è disponibile solo in lingua inglese, ma la lettura è coinvolgente, quindi coraggio!!!) , che alla fine sono riuscito a procurarmi e che sarà quindi l'oggetto del post odierno.
Ricapitolando, Peekay ha due sogni nel cassetto: diventare campione del mondo di pugilato e laurearsi in legge ad Oxford, per poi tornare in Sud Africa e difendere i diritti civili delle altre etnie. Ci riuscirà, mettendo su uno studio di "Avvocati Veramente Speciali" (praticamente lavoravano quasi gratis), insieme al suo inseparabile amico Hymie e a Tandia,una ragazza afro-indiana. A questo punto una parentesi ci vuole perché, un po' prima dell'arco temporale durante il quale si snodano le vicende dei protagonisti , un altro “Avvocato Veramente Speciale” si dedicò effettivamente alla difesa dei diritti civili degli immigrati indiani in Sud Africa... Esatto, proprio lui, Gandhi, a dimostrazione che anche un sogno, se diviene contagioso, si può realizzare, con buona pace degli azzeccagarbugli che preferiscono stare sempre dalla parte dei potenti ( e dei prepotenti). Già, questi avvocati sono veri e propri medici che curano la società dai malanni dell'ingiustizia e se un campione di boxe può mettere facilmente al tappeto i cattivi, un “AVS” può aiutare un popolo, i cui diritti vengono sistematicamente calpestati, a rialzarsi.
Ma torniamo al romanzo e alle riflessioni che ci suggerisce... Uno dei temi portanti è la descrizione, molto presente tra le pagine del libro, del sentimento di odio che l'oppressore nutre per le sue vittime.
E' un sentimento che lo fa sentire forte, praticamente onnipotente, ma è anche un sentimento egoista, che reclama per sé tutto lo spazio fino a diventare mania e a privarlo di qualsiasi gioia.
Mentre Peekay, Hymie e Tandia soffrono ma conoscono anche la felicità e la speranza, il cattivissimo Geldenhuis si tormenta tutto il tempo e le sue soddisfazioni sono ben misere: i riconoscimenti di carriera che ottiene ed il male che fa non riescono mai a soddisfarlo.
Naturalmente anche le sue vittime, soprattutto Tandia, lo odiano ma quest'odio non arriva mai ad un punto di non-ritorno. Giustamente, Courtenay scrive:

But he should have known, hate cannot live in a good man's hands for long, hate has to find the fingers it knows

Ma [Peekay] avrebbe dovuto saperlo, l'odio non può vivere a lungo nelle mani di un uomo buono, l'odio deve trovare delle dita che conosce bene.

Quale che sia l'evento catalizzatore che fa sì che alcuni divengano anfitrioni perfetti per questo sentimento, francamente, poco importa: una volta che ha messo radici, può rimanere latente, ma estirparlo è difficile.
Beh, la trama non ve la svelo più, leggetelo (prima leggete, però, “The Power of one”), ma il messaggio finale è questo: se non ci faremo corrompere, avremo comunque una vita bellissima.

P.S. : Visto che uno dei nostri ultimi filoni aperti è quello degli imperi che crollano, colgo l'occasione per riportare questo esempio  che Gandhi  utilizzava per sottolineare l'importanza della scelta dei mezzi anche quando si tratta di conquistare la propria libertà:

If I pay for your watch, it becomes my own property; If I fight for your watch, it becomes stolen property; If I plead for your watch, it becomes a donation.

Se pago per il tuo orologio, diviene di mia proprietà; se prendo con la forza il tuo orologio, diviene un bene rubato; se faccio richiesta per il tuo orologio, diviene una donazione.

Macchiavelli può andare in soffitta.

domenica 30 agosto 2015

Caro amico di penna...

Già...quando non c'era Internet e da ragazzi si voleva praticare un po' d'inglese, interagendo con un coetaneo di madre lingua, la professoressa ci suggeriva di iniziare un'amicizia per corrispondenza e ”Dear Pen Pal” era l'inizio quasi obbligatorio di ogni missiva (se non altro, perché Snoopy iniziava così le sue!!!!!).
Difficilmente, però, ci rivolgeremmo in questo modo al personaggio creato da Guy de Maupassant, Georges Duroy o, in arte, “Bel Ami”, in quanto dalla sua amicizia (e dalla sua penna) è meglio guardarsi.
Esatto, il romanzo di oggi è proprio “Bel Ami” (1885) , un efficace ritratto dell'arrampicatore sociale senza patria  nonché dell'alta società parigina del XIX secolo.
Georges Duroy è un uomo mediocre, nel cuore e nel cervello, ma è molto ambizioso, non ha scrupoli di sorta ed è di bell'aspetto.
Passeggiando per le vie di Parigi, un giorno incontra un suo vecchio commilitone che lo introduce nel mondo del giornalismo. E poco importa se Bel Ami sa a malapena tener la penna in mano e fa a pugni con i fogli di carta....”L'importante, è saper zittire gli interlocutori e non far emergere la propria ignoranza”. E così, poco a poco, impara il mestiere e comincia la sua scalata sociale, grazie all'appoggio di donne potenti che riesce a far innamorare di sé. E, soprattutto, si rende conto che “il giornalismo e la politica sono gli strumenti migliori per curare i propri interessi” e così la sua ambizione si fa sempre più smisurata....
Confesso che, al momento, non ricordo di aver mai fatto tanto tifo contro il protagonista di un romanzo come in questo caso, auspicando che prima o poi il frutto dei suoi intrighi venisse giù come un castello di carte, ma è stato tutto lavoro invano....Alla fine, Bel Ami trionfa e probabilmente è proprio questa la chiave del fascino del romanzo di Maupassant: un cinismo imperante, che non lascia spazio a buoni sentimenti né a un happy end.

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sabato 8 agosto 2015

Notti Attiche

Si avvicinano le vacanze e, sarà perché io non sono proprio un amante delle vacanze avventurose né degli sport estremi, ma amo invece la tranquillità ed il relax della spiaggia, magari con un buon libro, che mi è venuta in mente l'opera di Aulo Gellio: “Noctes Atticae” .

Herodes Atticus, vir et Graeca facundia et consulari honore praeditus, accersebat saepe, nos cum apud magistros Athenis essemus, in villas ei urbi proximas me et clarissimum virum Servilianum compluresque alios nostrates, qui Roma in Graeciam ad capiendum ingenii cultum concesserant. Atque ibi tunc, cum essemus apud eum in villa, cui nomen est Cephisia, et aestu anni et sidere autumni flagrantissimo, propulsabamus incommoda caloris lucorum umbra ingentium, longis ambulacris et mollibus, aedium positu refrigeranti, lavacris nitidis et abundis et collucentibus totiusque villae aquis undique canoris atque avibus personante


Erode Attico, uomo provvisto di eloquenza greca e degli onori consolari, spesso invitava, mentre eravamo studenti ad Atene, nelle sue ville vicino alla città, me e l'illustrissimo Serviliano e molti altri nostri concittadini, che avevano abbandonato Roma per conseguire la coltivazione dell'ingegno. E lì, quando eravamo presso di lui nella villa chiamata Cefisia, durante l'afa estiva e il caldissimo sole autunnale, ci difendevamo dalle incomodità del caldo con l'ombra dei grandi boschi, con i lunghi e concilianti viali, con la fresca posizione della casa, con i bagni con abbondante acqua sorgiva, con la bellezza della villa in ogni cosa, ovunque risonante per il canto degli uccelli e lo scorrere delle acque.

Già, una volta, per imparare, si andava in Grecia, mentre oggi, se si vuole migliorare il proprio CV, si scelgono altre destinazioni...Comunque, che si tratti di vacanze studio, di vacanze lavoro, di viaggi avventurosi , di vacanze con annesso corso di sopravvivenza (chi lo sa, può sempre tornare utile!), di vacanze in centri benessere o di vacanze di ozio puro...BUONE VACANZE!

mercoledì 5 agosto 2015

El Libertador

Beh, quelli che amano la Storia avranno già indovinato....”El Libertador” è Simón Bolivar e oggi continueremo, facendo un bel balzo in avanti nel tempo rispetto alla volta scorsa, a parlare di imperi che crollano.
Già, perché Bolivar guidò la liberazione di quelle terre che oggi sono l'Ecuador, la Colombia, il Venezuela, Panama, il nord del Perù ed il nord-ovest del Brasile ed è un vero e proprio simbolo dell'anti-imperialismo in America Latina.
Ma vediamo di riassumere quello che era il suo pensiero politico, che tutt'oggi ha dei seguaci...Per Bolivar, l'impero produce ingiustizia e tirannia e quindi racchiude in sé i germi della propria distruzione; una piccola repubblica, invece, non ha bisogno di espandersi e così è al riparo dal commettere ingiustizie e, avendo una maggiore stabilità, può dedicarsi esclusivamente al benessere della gente. Bolivar sognava, dunque, per l'America Latina, 17 repubbliche e dedicò tutta la sua vita a questo ideale; conobbe due volte l'esilio, la seconda volta ad Haiti, che aveva ottenuto da poco l'indipendenza dalla Francia (e, visto che va di moda parlare di respingimenti e di innalzare barriere anche oltralpe, colgo l'occasione per ricordare che Alexandre Dumas, che di Bolivar era contemporaneo, aveva sangue haitiano: suo padre era mulatto).
Ad ogni buon conto, alla morte di Bolivar, la maggior parte delle colonie spagnole e portoghesi in America Latina avevano conquistato l'indipendenza e alla Spagna restavano solo Cuba e Porto Rico.
La figura di maggior carisma nella lotta per l'indipendenza di Cuba fu senza dubbio José Martí, poeta, giornalista ed eroe nazionale cubano. Morirà in battaglia e tre anni dopo Cuba passerà sotto il controllo degli Stati Uniti.
Martí comprese presto che dietro la “dottrina Monroe” si celavano altri pericoli per la sovranità nazionale dei paesi dell'America Latina e che un colonialismo di un diverso genere poteva arrivare proprio dagli Stati Uniti, perciò auspicava supporto reciproco tra le ex-colonie (già, visto che abbiamo citato Dumas, a questo punto, l'immortale motto dei 3 moschettieri ci va a pennello : “Tutti per uno!”) e vediamo che anche il suo pensiero ha tutt'oggi molti seguaci.
Martí poeta, poi, ha un altro grande merito: i suoi “Versos Sencillos” (“Versi semplici”) sono la base del testo della canzone "Guantanamera".

P.S. : La Coppa "Libertadores", l'equivalente sudamericana della Champions League europea, si chiama così in omaggio agli eroi delle nazioni sudamericane, tra i quali spicca, per l'appunto, Simón Bolivar.

venerdì 24 luglio 2015

Debiti...debiti

Debito pubblico, debito privato, debito con la società, debito formativo, debito di riconoscenza e, se apparteniamo alla schiera degli inguaribili "dreamers", potremmo sicuramente contrarre anche qualche debito con la realtà.
Beh, il tema è terribilmente serio, però la tentazione di giocare un po' con le parole è forte, quindi prendiamolo come al solito alla lontana e alla leggera...Vi è mai capitato, da ragazzi, di prestare qualche migliaio di lire ad un amico o ad un compagno di scuola e che costui, al momento di restituire il dovuto, nicchiasse?
Cominciamo quindi da una nostra vecchia conoscenza, il carissimo Esopo, che ci racconta quello che succedeva ad Atene...

Esopo - il debitore Ateniese

Ad Atene un debitore, essendogli stato richiesto dal creditore di restituire il prestito, dapprima lo pregava di accordargli una dilazione, dicendo che era in grande penuria. Giacchè non lo persuadeva, avendo condotto la sola scrofa che aveva, in sua presenza la mise in vendita. Essendo sopraggiunto un acquirente e avendo chiesto se la scrofa fosse fertile, quello rispose che essa non solo figliava, ma anche in modo stupefacente. Disse che ai misteri generava femmine e alle Panatenaiche maschi.Essendo quello rimasto impressionato per il discorso, il creditore disse:"Non ti meravigliare. Questa infatti per le Dionisiache ti genera anche capretti."
Il racconto ci mostra che molti per il proprio profitto non esitano a testimoniare il falso nemmeno su cose impossibili.

Certo, si tratta dei degni antenati de "il Gatto e la Volpe", comunque, quando i debiti non venivano pagati, ben pochi avevano il senso dell'umorismo di Esopo. I Romani, ad esempio, riservavano ai debitori insolventi un'amara sorte: vediamo cosa prevedevano le leggi delle XII tavole (Tabula III).

In caso di riconoscimento del debito o di condanna in giudizio, il debitore aveva un termine di 30 giorni per l'adempimento; trascorso tale termine, si procedeva alla cattura e veniva portato dinanzi al magistrato.

NI IUDICATUM FACIT AUT QUIS ENDO EO IN IURE VINDICIT, SECUM DUCITO, VINCITO AUT NERVO AUT COMPEDIBUS XV PONDO, NE MAIORE AUT SI VOLET MINORE VINCITO.

Se non adempie al giudicato o se nessuno presta garanzia per lui davanti al giudice, il creditore lo conduca con sè e lo leghi con catene o ceppi di 15 libbre, non più pesanti ma, se vuole, di peso minore.

Il debitore poteva alimentarsi a sue spese altrimenti era il creditore a doverlo nutrire. Nel frattempo si cercava un accordo tra le parti; se non si riusciva a trovarlo, il debitore rimaneva prigioniero del creditore per 60 giorni e condotto davanti al Pretore per tre giorni di mercato consecutivi: il terzo giorno veniva messo in vendita o ucciso.

TERTIIS NUNDINIS PARTIS SECANTO. SI PLUS MINUSVE SECUERUNT, SE FRAUDE ESTO.

Il terzo giorno venga tagliato in parti. Se ne tagliano di più o di meno, non costituisce frode.


Non c'è che dire....Anche Shakespeare, del resto, ci mette in guardia dal contrarre dei debiti: dall'Amleto, eccovi un pezzetto della benedizione di Polonio al figlio Laerte.

Neither a borrower nor a lender be,
For loan oft loses both itself and friend,
And borrowing dulls the edge of husbandry.
This above all: to thine own self be true,
And it must follow, as the night the day,
Thou canst not then be false to any man.

Non dare nè prendere in prestito,
perchè il denaro prestato spesso perde sia sè stesso che l'amico,
ed il debito smussa il filo dell'economia.
E questo innanzitutto: sii sincero con te stesso,
e così deve necessariamente seguire, come la notte il giorno,
che non potrai essere falso con nessun altro uomo.

Beh, fin qui nulla di nuovo sotto il sole: Money makes the world go around..Eppure, qualcuno aveva provato a suggerirci un'indulgenza nuova..Dal Vangelo di Luca (7,41-42)

Duo debitores erant cuidam feneratori:unus debebat denarios quingentos,alius quinquaginta. Non habentibus illis, unde redderent,donavit utrisque.
....

Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo quelli da dove restituire, condonò il debito a entrambi.
....

E forse, condonare ogni tanto qualche debito , piccolo o grande che sia, è anche la cosa più saggia.

venerdì 17 luglio 2015

..Ed è tutto quello che rimane

Tempo di vacanze e di viaggi...E, allora, cogliamo l'occasione per parlare di uno scrittore giapponese, Kazuo Ishiguro e del suo romanzo “Quel che resta del giorno”, divenuto poi  un film (James Ivory, 1993), con Anthony Hopkins e Emma Thompson nei panni dei protagonisti.
L'inappuntabile maggiordomo inglese Stevens riceve una settimana di libertà e si accinge a fare un viaggio in automobile verso la Cornovaglia.
Devo dire che, da ragazzo, amavo, ogni tanto, viaggiare da solo, perché è un buon metodo per imparare cose nuove e conoscere altre persone....Poi, il destino ha messo sulla mia strada un'eccellente compagna di viaggio e, ormai, non riesco più a pensare ad un viaggio senza di lei. Comunque, viaggiare da solo è anche un'occasione per riconsiderare il passato e, quindi, per ripensare alle persone che ci hanno voluto bene e che abbiamo perduto, a quello che abbiamo appreso, al nostro modo di vivere il lavoro (che, c'è sempre bisogno di ricordarlo a qualcuno, NON E' UNA MERCE, ma una componente importante della nostra dignità!!!!), alle occasioni perdute.
E così, anche un compito maggiordomo di una casa prestigiosa, che ha fatto della ricerca della perfezione la sua ragione di vita, viene invitato all'introspezione ed ecco, d'improvviso, gli eventi salienti della sua vita sfilare di nuovo davanti ai suoi occhi.
Non voglio raccontarvi di più, soprattutto se non avete letto il libro o visto il film, ma dedicherei queste ultime righe del post odierno alla riflessione che ci suggerisce il romanzo di Ishiguro.
A tutti capita, periodicamente, di fare dei bilanci.. Mi chiedo, quando saremo molto avanti con gli “anta” e quindi lo spazio del nostro “domani farò” si sarà notevolmente compresso a favore dello spazio di “quello che è stato”, che cosa ci resterà. E, probabilmente, mi sento di convenire con l'autore: tutto quello che ci resterà è la nostra umanità, se saremo stati capaci di conservarla, se non avremo ceduto agli eventi e avremo ancora voglia di andare incontro alla gente. Alleniamoci per tempo.

venerdì 10 luglio 2015

(Ri)trovare un amico

A volte capita, dopo tanti anni, di ritrovare un amico . E, allora, cogliamo l'occasione per introdurre il romanzo di Fred Uhlman "L'amico ritrovato", piccolo classico "moderno" che ha molti pregi, oltre a quello di trovare le parole più semplici e accattivanti per descrivere quel modo nobile e disinteressato di vivere l'amicizia che tutti (o quasi) abbiamo avuto nella breve fase della nostra adolescenza.
E molti sono gli spunti di riflessione che questa lettura suggerisce.
Perchè,  sono gli amici di quegli anni che ci hanno conosciuto per come avremmo voluto essere e invece non siamo diventati e quindi, che ci piaccia o meno, conoscono per esperienza diretta una parte di noi che, a chi è entrato dopo nella nostra vita, possiamo solo raccontare.
Perchè, molto spesso, da questi amici ci separiamo per vari motivi: per un bisticcio, per competizione, ma soprattutto perchè, come è naturale, si cambia e non ci si riconosce più: quel feeling speciale che c'era prima, ad un tratto, non c'è più.
E così ognuno va per la sua strada e sul proprio cammino può anche succedere di rincontrare l'amico di ieri ma nella maggioranza dei casi questi incontri sono effimeri come delle bolle di sapone, perchè non si può ripetere il passato.
Quindi, quand'è che si ritrova un amico? Beh, Uhlman coglie perfettamente nel segno: per caso vieni a sapere che un tuo amico dei bei giorni ormai lontani ha fatto qualcosa che ti fa esclamare:"Si, è proprio tipico di lui !!! Lui era proprio così".
Perchè ritrovarsi è riconoscersi per come si era, non rincontrarsi. Leggetelo.  

venerdì 26 giugno 2015

Centomila!!!


Prendiamo a pretesto il fatto che abbiamo ormai superato le 100.000 visualizzazioni (N.D.R.: GRAZIE A TUTTI!!!) per parlare di una delle più famose (e, a mio avviso, anche la più angosciante) opere di Pirandello: Uno, nessuno e centomila.
Possiamo così introdurre l'ennesimo dei problemi della nostra epoca, quello della crisi di identità e della frammentazione dell'io attraverso le amare riflessioni del protagonista, Vitangelo Moscarda.
Il nostro eroe vive una vita placida finché un giorno la moglie gli fa notare che il suo naso è leggermente storto e allora...ALLORA CAMBIA TUTTO!!!
Si rende conto, infatti, che gli altri lo vedono diversamente da come si era visto lui fino a quel giorno e allora il suo obiettivo diventa quello di scoprire effettivamente sé stesso.

Se per gli altri non ero quel che ora avevo creduto d'essere per me, chi ero io?
......
E mi fissai d'allora in poi in questo proposito disperato: d'andare inseguendo quell'estraneo ch'era in me e che mi sfuggiva; che non potevo fermare davanti a uno specchio perché subito diventava me quale io mi conoscevo; quell'uno che viveva per gli altri e che io non potevo conoscere; che gli altri vedevano vivere e io no. Lo volevo vedere e conoscere anch'io così come gli altri lo vedevano e conoscevano. Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questo estraneo: uno solo per tutti, come uno solo credevo d'esser io per me.

Impresa disperata, non c'è che dire....E se si seguisse quel consiglio che ci hanno sempre dato, ossia “non ti curare di quello che la gente pensa di te e lasciala dire...”? Anche per questo, Vitangelo ha una risposta:

Attendete a vivere per voi, e fate bene, senza darvi pensiero di ciò che intanto possiate essere per gli altri; non già perché dell'altrui giudizio non v'importi nulla, ché anzi ve ne importa moltissimo; ma perché siete nella beata illusione che gli altri, da fuori, vi debbano rappresentare in sé come voi a voi stessi vi rappresentate.
......

Insomma, se qualche volta appena appena avvertite di non essere per gli altri quello stesso che per voi; che fate? (Siate sinceri). Nulla fate, o ben poco. Ritenete al piú al piú, con bella e intera sicurezza di voi stessi, che gli altri vi hanno mal compreso, mal giudicato; e basta. Se vi preme, cercherete magari di raddrizzare quel giudizio, dando schiarimenti, spiegazioni; se non vi preme, lascerete correre, scrollerete le spalle esclamando: "Oh infine, ho la mia coscienza e mi basta."

E probabilmente è vero: nessuno è al 100% impermeabile ai giudizi degli altri, anche se, effettivamente, la coscienza e l'orgoglio sono un bel sostegno: ci si sente, in ogni caso, vittime di  una prevaricazione.
Va beh, ma, al di là del nostro sentire, ci dovrà pur essere una realtà...Macché!!!!!!

C'è forse una realtà sola, una per tutti? Ma se abbiamo visto che non ce n'è una neanche per ciascuno di noi, poiché in noi stessi la nostra cangia di continuo! E allora?
.........
Perché, se ci pensate bene, questo è il meno che possa seguire dalle tante realtà insospettate che gli altri ci danno. Superficialmente, noi sogliamo chiamarle false supposizioni, erronei giudizi, gratuite attribuzioni. Ma tutto ciò che di noi si può immaginare è realmente possibile, ancorché non sia vero per noi. Che per noi non sia vero, gli altri se ne ridono. È vero per loro.


Naturalmente l'autore condisce , come al solito, questi monologhi con una buona dose di ironia, e invito, chi non l'ha letto, a leggere il testo.... Perché, al di là del fatto che forse dopo, probabilmente, avremo una sacrosanta esitazione prima di lasciarci andare a frasi del genere “Lei non sa chi sono IO” o, peggio ancora, “Mo' ti faccio vedere IO”(non essendo più sicuri di quale IO vogliamo intendere!!), il fatto che il cambiamento continuo sia insito nella vita è una cosa bellissima: l'arte di costruirci (o di ricostruirci) è qualcosa che si impara strada facendo e non dobbiamo mai stancarci di perfezionarla. Cambiare è naturale e se qualcuno intorno a voi pretende coerenza....Beh, nemmeno la coerenza è sempre una virtù: a volte è un alibi, altre è idiozia.