Il passaggio di testimone, in questo blog un po' caotico ma spero comunque interessante, tra Neruda e Majakovskij è così suggestivo che non posso rinunciarvi.
Ricordo l'inizio del film "I 100 passi" di M.T. Giordana, quando il pittore comunista risponde, ad un Peppino Impastato bambino, che gli chiedeva quale paesaggio vedesse dietro il ritratto di Majakovskij, "un fiume in piena", e devo dire che, a mio avviso, è una definizione quantomai azzeccata, data la vitalità di questo poeta.
Majakovskij è il maggior esponente del futurismo russo. Il futurismo russo ha dei caratteri diversi rispetto al futurismo italiano, che è piuttosto "aristocratico" e disimpegnato, in quanto auspica che l'arte esca dalle accademie per diffondersi nelle strade e nelle fabbriche (sarebbe bello, vero?); la sua essenza è l'antioblamovismo (ricordate Oblamov, il nostro pigro e immobile eroe?), che deve concretizzarsi nell'impegno sociale.
Il titolo del post prende lo spunto da una mia traduzione dallo spagnolo del titolo originale dell'opera, che in Italia si intitola "A piena voce", ma penso che la traduzione dei nostri amici spagnoli sia più vicina alle intenzioni e allo stile di Majakovskij.
"A piena voce" è l'ultimo lavoro incompiuto del poeta, una specie di testamento a pochi mesi dalla sua morte (si toglierà la vita per un amore non corrisposto).
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