E' quasi un automatismo, lo so, parlare di Joyce subito dopo aver parlato di Proust e non mi sottrarrò a questa regola.
L'"Ulisse", l'opera più famosa di Joyce, riprende il tema della ricerca della propria identità, ma lo fa in modo sarcastico, quasi feroce. Il parallelismo con la struttura dell'Odissea non fa nient'altro che ingigantire il disprezzo che l'autore nutre per il XX secolo. Leopold Bloom, il protagonista, che dovrebbe rappresentare Ulisse, è assolutamente un antieroe: mediocre, volgare e quasi disgustoso; egli è perfino consapevole che sua moglie, Molly (che dovrebbe rappresentare Penelope), lo tradisce.
Quest'ultima, a sua volta, è disinibita e scarsamente intelligente. E invece di esplorare nuove terre e imbattersi in ciclopi, sirene, principesse e divinità, tutto il "viaggio" di Leopold Bloom si svolge nelle strade di Dublino, nella sua "giornata-odissea", e la sua identità si costruisce attraverso i suoi incontri per la strada ed in locali pubblici.
L'altro personaggio principale dell'opera è Stephen Dedalus, un giovane intellettuale, conosciuto da Bloom in un bordello e che diviene, sia pur per un momento, una sorta di figlio adottivo(Telemaco).
Che dire? Il 16 giugno viene festeggiato il "Bloomsday", ma vista così, c'è ben poco da festeggiare, bisognerebbe solo riflettere.
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