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sabato 5 dicembre 2015

Ἄσπρος - Biancomonte

Riprendiamo la nostra rotta per l'Italia e spostiamoci dall'Abruzzo alla Calabria, anche perché, qualche tempo fa, un collega ha scelto di tornare alla sua terra di origine e quindi rendiamogli un affettuoso saluto.
Il libro del quale parleremo oggi, ovviamente, è “Gente in Aspromonte”, di Corrado Alvaro.
Romanzo meridionalista e naturalista, che si snoda attraverso 13 episodi, ci racconta le durezze e le dolcezze di quella terra dove, in un contesto dove i rapporti umani (e, talvolta, anche quelli familiari) sono prigionieri del duro mestiere di vivere, le passioni bruciano in fretta e gli odi si consumano lentamente, il cercare una vendetta nei confronti del rivale diviene la ragione principale del trascinarsi dei propri giorni e le speranze nascono, crescono e poi muoiono in un battito d'ali, con il tutto ingentilito dai colori, dai profumi, dai sapori e dai suoni descritti dalla penna dell'autore.
Ed i figli come naturale strumento di riscatto...Ecco così che c'è chi sceglie di vestire la divisa, chi deve andare in seminario a studiare da prete affinché tutti poi gli bacino la mano, chi, invece, deve cominciare da subito a fare il pastore per non pesare sulla famiglia (tanto poi sarà benificiato dal fratello) , chi emigra e... poi ci sono le figlie da maritare.
Un pezzo di storia dell'Italia ed, in fin dei conti, di tutti i paesi del mondo.
E, allora, cerchiamo, come al solito, qualche stralcio che ci illustri sentimenti e stati d'animo della “Gente in Aspromonte”.
Dal primo racconto, il più lungo, che dà il titolo all'opera... La famiglia Argirò cerca un riscatto sociale attraverso il figlio Benedetto, che studia in seminario, ma un giorno gli bruciano la stalla dov'era la mula e così è completamente rovinata.

[La moglie:]
Glielo aveva detto tante volte di non menar vanto del figlio e di non gloriarsi dell'avvenire, perché l'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca. Signore Iddio, com'è fatta la gente! Che non può vedere un po' di bene a nessuno, e anche se non hanno bisogno di nulla, invidiano il pane che si mangia e le speranze che vengono su.

E purtroppo è vero, l'invidia è un male antico e non necessariamente nasce dalle proprie privazioni. Si può invidiare chi ha meno di noi perché, alla fine, tutto può essere oggetto di invidia: la serenità, la bontà, l'educazione, l'onestà, la dignità...Si potrebbe aggiungere che l'invidia si manifesta sotto due forme, una positiva e una negativa: la prima è quella che ci spinge ad imitare, a fare del nostro meglio per eguagliare o superare il nostro prossimo e, alla fine, porta benefici a tutta la comunità; l'altra, parte dalla constatazione della propria incapacità di migliorarsi, oppure dalla consapevolezza di non esser disposti ad accettare il rischio di un fallimento ed allora trova sfogo nell'odio sordido verso gli altri e gioisce del male altrui, ma è solo un mezzo gaudio (N.D.R.: è la soddisfazione dei “cornuti”) , non favorisce lo sviluppo della comunità e, spesso e volentieri, produce danni anche all'invidioso. E, infatti, Antonello, l'altro dei figli degli Argirò, si dà alla macchia e procura la rovina della famiglia Mezzatesta, che aveva rovinato la sua. E, alla fine, quando si arrende ai Carabinieri...

Finalmente, disse, potrò parlare con la Giustizia. Ché ci è voluto per poterla incontrare e dirle il fatto mio.

E anche questo, purtroppo, è un pezzo della nostra storia e della nostra cultura: il rapporto di sfiducia nei confronti della legge e di chi l'amministra...Antonello, per avere giustizia, deve farsi brigante.

P.S. : Alle pendici dell'Aspromonte vive l'ultima comunità che parla il grecanico, un derivato del greco antico o del greco bizantino, da qui il titolo del post; ἄσπρος , in greco antico, ha anche il significato, oltre a quello del latino “asper” (aspro), di “bianco”.

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