Editore di Directory Italia - http://directory-italia.blogspot.com/

giovedì 29 maggio 2014

Luna

Facciamo un break e cerchiamo di distrarci un attimo... Vi hanno mai detto che avete la testa sulla Luna? Già, la Luna, fonte d'ispirazione per poeti e innamorati, gatti e cantanti, e per tutti coloro che vogliono evadere un po'. E andare sulla Luna è sempre stato il sogno dell'uomo, vero? Sapete, in ambito letterario, chi fu il primo a fantasticare un viaggio sulla Luna?
Assolutamente non fu Jules Verne, con il suo “Dalla Terra alla Luna”(1865), né Rudolph Erich Raspe (Le avventure del barone di Münchhausen (1785)), né l'impareggiabile Cyrano de Bergerac ed il suo “L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna”(1657), e neppure l'Ariosto con “L'Orlando furioso” (1532: il famoso viaggio di Astolfo sulla Luna per recuperare il senno di Orlando...carina, comunque, l'idea che sulla Luna si trovino, ammucchiate, tutte le cose che si perdono sulla Terra!)....
Mi sono ricordato, infatti, di una delle traduzioni più lunghe che mi toccò fare nei giorni del ginnasio e che, allo stesso tempo, più mi divertì: si trattava di una parte di “Storia Vera”, di Luciano di Samosata (II secolo d.C.). Ricordo perfino che, siccome mi faceva ridere, alla fine tradussi anche più di quanto fosse stato assegnato.
Beh, l'ho cercata, l'ho trovata e ve ne ripropongo degli stralci..
Un improvviso turbine solleva in cielo la nave che ospita i nostri eroi che si trovano così al cospetto del re della Luna.
Vediamo dunque come vivono questi “Lunari”..Innanzitutto i bambini non nascono dalle donne, ma dagli uomini, che non ingravidano nel ventre ma nei polpacci e quando è ora vi fanno un taglio e ne estraggono il bambino.
Hanno molte viti, che producono però acqua: quando un po' di vento le scuote, ecco che piove grandine sulla Terra.
Anche sulla Luna ci sono i ricchi ed i poveri. Una delle differenze che più mi ha colpito, per la sua modernità, è che gli occhi sono “plug and play”, ossia te li metti quando hai bisogno di vedere e te li togli quando non ne hai più necessità. Chi li perde, se li fa prestare quando gli occorrono; i ricchi, ovviamente, ne hanno delle scorte.
Un'altra meraviglia è poi un grandissimo specchio che si trova in un pozzo, non molto profondo: chi scende nel pozzo può ascoltare tutto quello che si dice sulla Terra (ne vale la pena?) e attraverso lo specchio si possono vedere le persone e le città come se si trovassero davanti a noi.
E per finire...andiamo al principio! Pensavate che vi risparmiassi il solito testo in greco? Neanche per idea! Eccovi un pezzettino dell'originale “Introduzione” di Luciano.

Storia Vera - Luciano di Samosata


[…..]Essendomi imbattuto in tutti questi [grandi raccontafrottole], non rimproveravo eccessivamente codesti uomini per essere bugiardi, vedendo che già i filosofi sono soliti in questo; mi stupivo di coloro tra essi che scrivevano fandonie pensando che ci credessimo. Perciò, avendo anch'io il desiderio di lasciare qualcosa ai posteri, per non essere io l'unico privo della libertà di scrivere, poiché non ho nulla di vero da narrare - non essendomi accaduto niente degno di essere raccontato -, ho fatto ricorso ad una bugia molto più ragionevole delle altre: infatti almeno in questo dirò la verità, dichiarando che sto dicendo una bugia. Così mi sembra di sfuggire al biasimo degli altri, confessando di non raccontare nulla di vero. Scrivo dunque di cose che non ho visto né ho saputo da altri, che non sono avvenute e che non possono avvenire. Perciò quelli che si imbatteranno in questo [racconto] non devono crederci minimamente.

Beh, il viaggio di Luciano non si limita alla Luna, ma vengono raggiunti altri luoghi fantastici...C'è perfino un soggiorno nel ventre di una balena! Quello che accomuna i luoghi visitati, è che ovunque ci sono ricchi e poveri e c'è sempre una guerra da combattere.
Forse la sua “Storia vera” è più realistica di quanto dica.

lunedì 26 maggio 2014

Tutto per la Facoltà di Storia

Oggi parleremo di “parole”, perché, prima o poi, ognuno di noi deve fare una scelta di fondo.
Prenderò spunto da “The History Boys”, una commedia di Alan Bennett divenuta poi film nel 2006 (regia di Nicholas Hytner).
In un liceo inglese, otto studenti hanno avuto degli ottimi voti e sperano di poter accedere alla prestigiosa Facoltà di Storia delle Università di Oxford e di Cambridge, così tornano a scuola per prepararsi al severo esame di ammissione.
Il preside, che ha così l'occasione di aumentare la fama della sua scuola, assume, per potenziare il corpo insegnante che ha portato i ragazzi fino alla soglia dei loro sogni, Irwin, un giovane ed ambizioso professore, con un compito ben preciso: curare l'immagine dei ragazzi, in modo da far sì che la loro prova di ammissione risulti brillante.
A quanto pare, l'importante è dimostrare di avere delle idee originali, a dispetto della verità, sostenere delle tesi provocatorie, anche se non si condividono, perché la verità è banale, la verità è noiosa.
Dall'altra parte della barricata c'è Hector, un anziano professore, il cui approccio didattico è opposto a quello di Irwin. Hector, infatti, non ti prepara all'esame, ma cerca di formarti come persona.

Scegli qualche verso di una poesia o la strofa di una canzone, qualche frase di un libro o qualche battuta di un film e portali sempre con te: prima o poi ti saranno utili”.

E così, Hector e Irwin si contendono gli studenti, l'uno con la dolcezza della poesia e l'altro con il richiamo di una vita sotto i riflettori, l'essere contro l'apparire.
Come andrà a finire? Andranno tutti a Oxford e a Cambridge? Non ve lo dico, perché al di là del finale del film, la partita individuale è tutta da giocare. Ognuno deve fare la sua scelta e poiché la coperta è corta, qualunque scelta si faccia sarà impossibile non provare poi un po' di rimorso.
Che ne pensate?

sabato 24 maggio 2014

Diario di un uomo qualunque

Beh, per questa volta Odisseo dal multiforme ingegno non c'entra nulla: il “Nessuno” di oggi è Charles Pooter, un impiegato di una company della “City”.
Stiamo per parlare, infatti, di “Diary of a Nobody”, un divertentissimo libro dei fratelli Grossmith (1892) , che ci racconta sogni e frustrazioni, gioie e umiliazioni nella vita di sempre del più classico rappresentante della piccola-media borghesia durante l'epoca vittoriana.
A parte l'ilarità che straripa dalle sue pagine, il “Diario” è un interessante racconto su come eravamo perché, anche se il “British humour” non ci appartiene, alla fine tutti i piccoli-medi borghesi sono “fratelli”.
E chi non ricorda le discussioni con i commercianti quando ritenevamo, a torto o a ragione, di esser stati imbrogliati? Già, poi non ci si rivolgeva più la parola per un pezzo e si andava a fare compere dalla “concorrenza” almeno fino a quando non veniva firmata la pace (N.D.R. : la grande distribuzione ci ha privato del piacere di litigare e riappacificarci con il nostro negoziante di fiducia!). E chi non ha atteso con trepidazione qualche party dove era necessario far “bella figura”, preparando tutto con cura, salvo poi aver voglia di sprofondare sotto terra se ti si macchiava il vestito o ti si scuciva qualche capo d'abbigliamento poco prima dell'evento e bisognava ricorrere ad improbabili rimedi, come il talco, un rammendo o addirittura chiedere in prestito un abito “di rimpiazzo” ad un amico o ad un parente?
Per non parlare, poi, di quando qualcuno ci prometteva i biglietti per una partita di calcio importante o per uno storico concerto rock: dicevamo a tutti, per farci invidiare, che ci saremmo andati e alla fine restavamo, invece, a mani vuote.
E se tentavamo di fare noi, per risparmiare, qualche lavoro di casa come ritinteggiare le pareti? Il disastro era assicurato e la spesa raddoppiata!
Amarcord a parte, voglio proporvi un estratto del libro perché mi sembra particolarmente degno di riflessione. Durante una cena, Mr.Huttle, un affascinate parolaio (in verità, a me questa gente infonde solo noia), di quelli che giocano sempre a stupire per attirare su di sé l'attenzione, dice quanto segue:

Happy medium, indeed. Do you know "happy medium" are two words which mean "miserable mediocrity"? I say, go first class or third; marry a duchess or her kitchen-maid. The happy medium means respectability, and respectability means insipidness. Does it not, Mr Pooter?'

Un felice compromesso, davvero. Lo sapete che “felice compromesso” sono due parole che significano “miserabile mediocrità”? Io dico, viaggia in prima classe o in terza; sposa una duchessa o la sua aiutante di cucina. Il felice compromesso significa rispettabilità e la rispettabilità significa scialberia. Non è così, Mr.Pooter?

Già, una visione della società spaccata in due: da una parte quelli di successo, vincenti e spregiudicati, al di sopra delle regole e della morale e dall'altra il “proletariato” (o un “sottoproletariato”) abbrutito, senza una classe “media” a colmare il vuoto tra le altre due.
Eppure è proprio quella piccola-media borghesia perbene a creare il benessere generale di un paese e a salvarne, spesso, la dignità, quindi onore a Mr. Pooter, alla sua onestà e al suo senso della decenza. E onore quindi anche al suo “Diario” perché, come lui stesso dice, “it's the diary which makes the man” (é il diario che fa l'uomo).

domenica 4 maggio 2014

Città che vai...

Sono contento che il post su Confucio abbia suscitato un po' di interesse.
Del resto, per quanto riesca a ricordare, le scuole di pensiero orientali non si studiavano granché nelle ore di filosofia, rischiando di creare la falsa convinzione che i dibattiti su quali dovessero essere le fondamenta dello Stato ideale e quali i rapporti tra cittadino e Potere fossero riservati agli occidentali.
Non è affatto così, ci furono “maîtres à penser” da entrambe le parti e prometto che vi proporrò in futuro qualche altro spunto interessante in proposito.
Per il momento facciamo, invece, un bel balzo in avanti (V secolo d.C.) perché nella discussione che abbiamo iniziato qualche giorno fa non si può prescindere da Sant'Agostino e dal suo “De civitate Dei”.
Può lo Stato infischiarsene della giustizia, quella “VERA”, in nome del pragmatismo e dell'autolegittimazione?

Dal libro IV:

Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna? Manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis astringitur, placiti lege praeda dividitur. Hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, civitates occupet populos subiuget, evidentius regni nomen assumit, quod ei iam in manifesto confert non adempta cupiditas, sed addita impunitas. Eleganter enim et veraciter Alexandro illi Magno quidam comprehensus pirata respondit. Nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: "Quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu magna classe, imperator".


Se la giustizia è estromessa, che cosa sono i regni se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande di ladri che cosa sono se non dei piccoli regni? È pur sempre un manipolo di uomini che è retto dal comando di un principe, è vincolato da un patto sociale e il bottino viene diviso secondo la legge del consenso. Se questo gruppo malvagio cresce con l'entrata di uomini perversi tanto che possiede luoghi, stabilisce residenze, occupa città, soggioga popoli, assume più evidentemente il nome di regno che gli è conferito ormai di fatto non dall'eliminazione della cupidigia ma da una maggiore impunità. Con eleganza e verità allo stesso tempo rispose in questo senso ad Alessandro Magno un pirata fatto prigioniero. Quando, infatti, il re chiese all'uomo cosa gli era venuto in mente per infestare il mare, quello con sincera fierezza: "Lo stesso che a te, rispose, per infestare il mondo intero; ma poiché io lo faccio con un piccolo naviglio, sono chiamato ladro; tu perché lo fai con una grande flotta,sei chiamato imperatore".

Beh, non risponderò oggi alla domanda..Come sapete ci sono diversi punti di vista in proposito e sia la Storia che la Filosofia hanno fatto molto cammino dai giorni di Sant'Agostino. Mentre traducevo questo pezzettino del “ De civitate Dei” mi è venuto in mente, però, un film visto qualche tempo fa: “L'educazione siberiana”, di G. Salvatores (2013). Nella Moldavia Orientale vive una comunità di “onesti criminali”, seguendo la guida indiscussa di “nonno Kuzja”. Questa comunità ha infatti una sua religiosità e agisce secondo quello che ritiene sia la volontà di Dio: é in guerra perenne con coloro che considera “gli sfruttatori” ed è invece gentile e protettiva con i deboli. Si tratta, dunque, di uno Stato? A modo loro, i membri seguono una via di “verità e giustizia” (e disprezzano il denaro, quindi non rubano per cupidigia)..Pertanto, sembrerebbe che nemmeno questa comunità possa fare a meno di ispirarsi a questi valori. Adesso, però, non ve lo racconto più: la storia è interessante e vale la pena di vederlo.
Continueremo, comunque, in futuro, la nostra discussione.

giovedì 1 maggio 2014

La valigia

Continuiamo il discorso iniziato il 25 Aprile, ossia quello della lontananza da casa.
Milioni di nostri connazionali, infatti, lasciarono le loro case per andare a cercare lavoro all'estero e con le loro rimesse permisero una vita migliore alle loro famiglie e aiutarono lo sviluppo del nostro paese (le rimesse erano, tra l'altro, una voce molto importante nel saldo della Bilancia dei pagamenti).
E andando a cercare nel passato, ho trovato questo brano di Seneca che, nella sua brevità, come al solito, ci dice già tutto.

In antiqua historia multi populi suam patriam reliquerunt et locum mutaverunt, inter quos invenimus Graecorum multas colonias quae hodie in Asia sunt. Italiae oras, quas Tyrrhenum pelagus alluit, Magnam Graeciam antiqui apellaverunt. Praeterea Tyrri hodie Africam incolunt, Hispaniam Poeni, Graeci se in Galliam quoque immiserunt. Multos imperitos, qui ignota loca petebant, procellae undaeque hauserunt , alii ibi consederunt, ubi aquae et alimentorum inopia eos deposuit. Variae causae fuerunt, quibus incolae ex terris suis discesserunt: alios patriae excidia, alios domestica bella submoverunt, alios pestilentia eiecit, alios terrae fecundae fama allexit. Cotidie in nostra magna terra multa mutamus et nova fundamenta ubique iacimus. Denique pauci sunti qui in proprio loco manserunt et vix invenies ullam terram, quam etiam nunc indigenae incolunt.


Nella storia antica molti popoli abbandonarono la loro patria e si insediarono altrove, tra i quali troviamo molte colonie dei Greci che oggi sono in Asia. Le coste dell'Italia, che il mar Tirreno bagna, gli antichi chiamarono Magna Grecia. Inoltre, i Tiri oggi abitano l'Africa, i Punici la Spagna, i Greci si stabilirono anche in Gallia. Le tempeste e le onde fecero affondare molti inesperti, che si dirigevano verso luoghi sconosciuti, altri si fermarono lì dove la scarsità di acqua e di alimenti li abbatté. Varie furono le cause per le quali gli abitanti partirono dalle loro terre: alcuni li mossero le disgrazie della patria, altri le guerre civili, altri li fece fuggire la pestilenza, altri ancora li attrasse la fama di una terra feconda. Ogni giorno nella nostra grande terra cambiamo molte cose e gettiamo nuova fondamenta ovunque. Quindi sono pochi quelli che sono rimasti nel loro paese e con grande sforzo troverai una terra che sia ancora abitata dagli indigeni.

E dato che ho l'abitudine di scegliere sempre una canzone per celebrare il 1° Maggio, quest'anno tocca a “Here's to you” di Joan Baez (Here's to you).
Perché le origini e le opinioni non possono essere un crimine.