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martedì 31 gennaio 2012

Gran galeotto....

Errato! Questa volta non parleremo di Dante ma di José Echegaray, anche se il suo "El gran galeoto" prende appunto il titolo dal canto di Paolo e Francesca (come tutti sapete, Galeotto [Galehaut] era il mezzano negli amori tra sir Lancillotto e la regina Ginevra).
"El gran Galeoto" è un interessante studio delle possibilità  di fare "teatro dentro al teatro" e sicuramente una buona fonte per conoscere le idee di Echegaray sul genere teatrale.
Echegaray fu il primo spagnolo ad essere insignito del premio Nobel per la letteratura (1904, 2 anni dopo toccherà al nostro Giosuè Carducci); matematico, politico (liberale convinto) e drammaturgo, fu senz'altro un uomo fuori dal comune, anche se Miguel de Unamuno e Rubén Darío non condivisero l'assegnazione del premio Nobel. La sua produzione letteraria comprende circa 60 drammi, e se nelle prime opere si nota una certa vena romantica, in quelle successive si percepisce l'influenza di Ibsen.
Ma passiamo al "Gran Galeotto", ossia come i pettegolezzi diventano verità.
Si sparge la voce che la commedia di un giovane scrittore, Ernesto, descriva la sua relazione con la giovane moglie di Don Julián, Teodora.
Uno dei personaggi dice: 
Non è giusto che la gente pensi al peggio perchè ti vedono passeggiare con lui e vedono lui spesso al teatro con te. Ma, Teodora, in assoluta coscienza, io penso che se il mondo si abbassò a vedere il male, tu gliene fornisti l'occasione. Permettimi di precisarti che la colpa che la società più ferocemente chiacchiera, perseguita più crudelmente ed implacabilmente ed in ogni modo più variegato ed inimmaginabile, sia negli uomini che nelle donne, è .....la temerarietà.
Don Julián difende l'onore di sua moglie in un duello con un visconte e muore credendo che il pettegolezzo fosse vero. Ernesto uccide poi il visconte e parte con Teodora, perchè questo è quello che vuole la gente.
Pirandello più tardi scriverà, saggiamente, "Così è (se vi pare)".

Post collegatiPirandello

lunedì 30 gennaio 2012

Tutti al cinema

Facciamo un altro breve break per riassumere quello che avviene nel campo delle arti, perchè ci sono vari avvenimenti degni di nota in questi anni.
Nel 1883 Gaudí inizia la "Sagrada Familia" e tre anni dopo Puccini compone "La bohéme".
Nel 1889 viene inagurata la Torre Eiffel (e da allora è stata visitata da circa 250 milioni di persone).
Ma l'evento più importante è, a mio avviso, la prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumière (1895): nasce così  la "settima arte".

La cinematografia racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica. 
(Akira Kurosawa)

E da allora  il cinema fa sognare, riflettere, ridere e commuovere milioni di persone.

fratelli Lumière

domenica 29 gennaio 2012

Los pazos de Ulloa

Andiamo adesso in Spagna per incontrare una dei maestri del Naturalismo, Emilia Pardo Bazán.
L'opera, che regala il titolo al post (significa "La casa di Ulloa"), è senz'altro una pietra miliare della letteratura spagnola ed ebbe anche una trasposizione televisiva con Victoria Abril (Los pazos de Ulloa - RTVE). Il tema centrale di questa (e delle altre opere di Emilia Pardo Bazán) è il contrasto tra Natura e Civiltà (e alla fine sono sempre le forze della natura a trionfare).
Un giovane ed ingenuo sacerdote, Julián, giunge alla casa del Marchese di Ulloa; costui vive più o meno come un bruto, dedicandosi principalmente alla caccia in compagnia di Primitivo, un suo pseudo servitore furbo e violento (e di cui tutti hanno paura), e vivendo "more uxorio" con la figlia di questi, Sabel. Dalla relazione con quest'ultima è nato Perucho, figlio illegittimo del Marchese.
Julián cerca di redimere il Marchese dal suo stile di vita semiselvaggio e lo convince ad andare a Santiago alla ricerca di una sposa legittima, ma porterà, senza volerlo, la rovina per tutti.
Di fatto, nella Casa di Ulloa c'era in fondo un equilibrio che l'arrivo di Julián sconvolgerà con conseguenze disastrose. Su consiglio di Julián, il Marchese sceglie, tra le sue cugine, Nucha, una creatura dolce e cagionevole, la meno adatta alla vita rozza de "Los Pazos". La situazione inizia a precipitare quando Nucha partorisce una bambina anzichè un maschio; successivamente, poi, la salute di Nucha, già compromessa, si complica ulteriormente quando la giovane si rende conto della relazione del marito con Sabel e che Perucho è il figlio naturale del Marchese. Ma le cose devono ancora peggiorare, perchè Primitivo mira a divenire il padrone de "Los Pazos" e tradisce il Marchese, che si era candidato alle elezioni e aveva investito molto denaro preso a prestito per farsi eleggere, al fine di causarne la rovina finanziaria. Nucha, che aveva intuito le intenzioni di Primitivo e temendo per la vita di sua figlia, cerca di fuggire con l'aiuto di  Julián ma i due vengono scoperti e il cappellano viene cacciato di casa. Allo stesso tempo, però, Primitivo viene  ucciso per il suo tradimento "elettorale".
Il romanzo termina con la visita, 10 anni dopo, di Julián alla tomba di Nucha, morta poco dopo la sua cacciata (ma il vero epilogo del racconto è contenuto nell'altro libro della scrittrice, "La madre naturaleza" dove, pur nel trionfo della Natura, si consumerà, in un certo qual modo, la vendetta di  Julián).
Questo, ovviamente, è un riassunto degli eventi principali, ma l'opera è in realtà piena di elementi tra loro in perenne contrasto e dipinti con tinte forti dalla scrittrice, come il conflitto tra religione e riti ancestrali (nella casa del Marchese la servitù praticava una sorta di stregoneria), tra la Chiesa ufficiale, che appoggia il potere per godere delle comodità, e l'ingenuità di  Julián, tra la nobiltà decadente e abbrutita (rappresentata dal Marchese) da un lato e l'astuzia e la violenza (rappresentata da Primitivo) dall'altro, tra la passione (Sabel) e l'amore materno (Nucha).

Casa dolce casa

Spostiamoci in Norvegia per parlare dell'opera di Ibsen. Ibsen è considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver introdotto nel teatro le contraddizioni più intime della borghesia.
"Casa di bambola" ha effettivamente il merito di alzare il sipario su tante piccole realtà nascoste fra le quattro mura domestiche e di domandare se la società che si vuole è un agglomerato di case dove la donna sia una specie di marionetta.

NORA: Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. E io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli...Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero! 
HELMER: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme... 
NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie. 
HELMER: Ma io non ho la forza di diventare un altro. 
NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola. 

Certo, si perdono molte certezze (e le certezze fanno comodo), tuttavia togliere la libertà ad una persona è inconciliabile con il giuramento di amarla. 

sabato 28 gennaio 2012

The Thinker

Facciamo una breve pausa e riepiloghiamo rapidamente quello che succede nel campo della musica e dell'arte. Nel 1848, mentre Marx e Engels pubblicano "Il Manifesto del partito comunista", Wagner compone "L'anello del Nibelungo". Wagner prese parte ai moti del '48 al  fianco di Bakunin e inizialmente la sua opera venne concepita come denuncia del sistema capitalistico borghese; alcune sue parti, tuttavia, si prestano ad interpretazioni diverse e alla fine verrà rivendicata da ideologie opposte: Comunismo, Anarchia e Nazismo.
A Parigi, nel 1874 avviene la prima esposizione degli impressionisti (tra i quali c'erano Cezanne, Renoir, Boudin, Degas e Monet [il mio preferito]).
Ma forse il vero simbolo di questo periodo di grandi filosofi, i cui scritti avranno un'influenza enorme sulle vicende a venire, è "Il pensatore" scolpito da Rodin nel 1880.

Impressione sole nascente - Monet
Il pensatore - Rodin

venerdì 27 gennaio 2012

Un macabro commercio

Restiamo tra i grandi maestri russi e parliamo di un altro grande capolavoro, "Le anime morte" di Gogol.
Quest'opera fa parte di un progetto, rimasto incompiuto, di descrivere un viaggio, secondo il modello dantesco, attraverso la Russia del tempo, sprofondata in un vuoto morale, per arrivare via via fino alla Redenzione.
Fu redatta invece solo la prima parte, ossia l'affresco di una Russia ormai nel baratro e priva di ogni qualsivoglia   valore, guidata soltanto dal miraggio del denaro secondo il modello occidentale e affossata nel suo sistema semifeudale.
Pavel Ivanovič Čičikov ha inventato un abile stratagemma per arricchirsi: egli compra per una manciata di rubli "le anime morte". Le "anime morte" sono i servi della gleba deceduti per i quali i proprietari continuano a pagare la tassa governativa finchè il loro decesso non verrà registrato nel prossimo censimento. Egli vuole crearsi un numero elevatissimo di servitori "fantasma" in modo che, ipotecandoli, possa ottenere un grande capitale. L'imbroglio alla fine verrà scoperto, in quanto Korobočka, dopo avergli venduto le sue anime morte, per timore di averci rimesso, va in città a chiedere la "quotazione" delle anime morte ed al nostro "eroe" non rimane altra possibilità che la fuga.
La satira grottesca dell'autore sulla società del suo tempo (in sostanza, i servi della gleba non erano padroni nemmeno della loro anima) è nondimeno profetica: la Russia non poteva continuare su questa strada. Lascia perplessi come nonostante questa lampante denuncia sociale, tutto il sistema abbia continuato a chiudere perennemente gli occhi fino a quando la Rivoluzione d'Ottobre non lo spazzerà via.

mercoledì 25 gennaio 2012

Anna

L'altro mostro sacro russo di questi anni è Lev Tolstoj, l'autore di "Guerra e Pace" e di "Anna Karenina". Tolstoj e Dostoevskij non si amavano granchè e bisogna dire che, sebbene il sottoscritto preferisca Dostoevskij, stabilire chi fu effettivamente il più grande è impresa ardua.
Dovendo scegliere, invece, tra "Guerra e pace" e "Anna Karenina" scelgo senz'altro la seconda opera, in quanto mi consente di collegarla immediatamente a "Madame Bovary" .
Entrambe le "eroine" tradiscono ed entrambe si uccidono, ma  rispetto alla protagonista dell'opera di Flaubert, Anna sa sempre che sta facendo qualcosa di sbagliato ed è questo che la distrugge.
Al contrario di Emma, che appartiene alla borghesia e vorrebbe invece una vita nell'alta società, Anna quella vita ce l'ha, appartenendo all'aristocrazia russa.
Diversa è quindi l'educazione che hanno ricevuto e diverso è l'atteggiamento che hanno verso il resto del mondo: in fin dei conti, Emma è assolutamente egoista, mentre Anna, almeno, adora suo figlio.
Se Anna si uccide, lo fa per ritorsione verso il suo amante, mentre per Emma il suicidio è una via di fuga dai debiti e dal fallimento del suo sogno di una vita sotto i riflettori.
In sostanza, Flaubert usa Madame Bovary per fare una feroce satira sulla borghesia (che disprezza profondamente), mentre l'opera di Tolstoj è invece una denuncia dell'ipocrisia e delle convenzioni della nobiltà russa (che, tra l'altro, parla in francese anzichè in russo), che spingono Anna al suicidio.

Post collegati: Madame Bovary


martedì 24 gennaio 2012

Mio fratello superuomo

Dopo aver introdotto Nietzsche va da sè che bisogna parlare di Dostoevskij. I rapporti tra i due sono complessi e, se da un lato Nietzsche lesse e ammirò  Dostoevskij, quest'ultimo, che non conosceva gli scritti del filosofo tedesco, ne anticipò le tesi (da quanto dicono i critici è abbastanza normale che i romanzieri arrivino sempre prima dei filosofi).
Come Cervantes, anche questo grande scrittore conobbe il carcere e questa esperienza influenzò i sui scritti, soprattutto "Delitto e castigo", uno dei miei preferiti.
Ma, a scanso di equivoci, il castigo del protagonista non è il campo di lavoro a cui è condannato alla fine, bensì il tormento che vive in ogni pagina del romanzo: egli ritiene di essere un superuomo e, per dimostrarlo, decide di uccidere una vecchia usuraia per utilizzare poi il suo denaro a fin di bene. Cercando mille motivazioni per la sua azione spregevole, in realtà testimonia ogni momento il suo fallimento: il superuomo, colui che è al di là del bene e del male, non ha dubbi e, soprattutto, non ha bisogno di dimostrarlo a se stesso. Ma questa verità Raskol'nikov la capirà solo dopo aver compiuto la sua azione.
Questi temi vengono ripresi nei "Fratelli Karamàzov", il romanzo più completo sotto il profilo della drammaticità e della moralità.
Anche in questo caso, alla fine c'è un omicidio: il capo famiglia viene ucciso da Smerdjakov, il figlio illegittimo (e trattato dal padre alla stregua di un servo). Smerdjakov nutre un'ammirazione smisurata per Ivan, l'intellettuale della famiglia, e passa dalla teoria ai fatti: basandosi sul principio che tutto è permesso, uccide il padre, fa incriminare Dmitrij, il primogenito, ruba il denaro e poi, deluso da Ivan dal quale sperava di ricevere l'approvazione del suo gesto, si suicida (e anche questo è, da un certo punto di vista, un atto di emancipazione). Si potrebbe quasi dire che l'unico "superuomo" è questo personaggio malato, tuttavia c'è nel romanzo un vero angelo, l'altro Karamàzov, Alëša, il contraltare di Ivan (i due hanno in comune la madre, mentre Dmitrij è figlio della prima moglie del padre e Smerdjakov è nato dalla relazione tra il padre e una donna demente): è lui il vero superuomo, colui che riesce a trasformare in luce il buio dell'odio.

lunedì 23 gennaio 2012

Umano, troppo umano

Prima di parlare dei grandi scrittori russi, vorrei introdurre uno dei più grandi filosofi di sempre, Friedrich Wilhelm Nietzsche. Ricordate il post Facciamo un patto...,, nel quale, facendo anche un paragone tra il dottor Faust e l'Ulisse che Dante mette all'Inferno, avevamo detto che la questione relativa all'accettazione dei nostri limiti umani era tutt'altro che chiusa? 
Beh, Nietzsche  è colui che più di ogni altro teorizza la liberazione dell'uomo da ogni vincolo  per proiettarlo verso le mete più alte. Sicuramente tutti ricordano il "Dio è morto" di "Così parlò Zarathustra",  il "Superuomo" e l'essere "al di là del bene e del male",  nonchè l'accusa, probabilmente ingiusta, di essere un anticipatore del nazismo. Riguardo quest'ultima, è indubbio che il pensiero di Nietzsche fu strumentalizzato dal nazi-fascismo, tuttavia è altrettanto vero che egli non vedesse di buon occhio i nazionalismi e che detestasse l'antisemitismo. Il superuomo di Nietzsche non è l'uomo superiore della razza ariana, ma un uomo senza patria e senza limiti.
Il titolo del post riprende, oltre che il titolo di uno dei suoi scritti, anche il titolo di un'opera di teatro che ho avuto occasione di vedere e che mi piace raccontare per offrire uno spunto di riflessione diverso, "Humano, demasiado humano". 
Quest'opera si propone di raccontare gli ultimi giorni del filosofo. Come sapete, alla fine Nietzsche diviene pazzo. E se invece fingesse? A tutti quanti, grandi pensatori e uomini normali, prima o poi viene la tentazione di far finta di essere matti  (e chi non ha mai cantato Je so pazz di Pino Daniele?)..La follia come difesa, come pretesto per poter dire e fare tutto quello di cui si ha voglia. Il Nietzsche dell'opera è un uomo amareggiato, perchè si rende conto che il suo pensiero sarà distorto e sfruttato per finalità opposte a quelle che si proponeva, e allora "fa il matto": bagna il letto, si impelaga in infinite diatribe (a volte contro la "Chiesa di Roma", altre contro Platone e Socrate)...insomma, prima di chiudere gli occhi ne combina di tutti i colori, facendo disperare le persone che lo accudiscono.
Una sorta di Don Chisciotte, insomma, che, se avete capito come la penso, non era affatto pazzo.

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domenica 22 gennaio 2012

Madame

A metà del XIX secolo comincia a subentrare una sorta di delusione per il fallimento dei sogni e delle speranze che si erano diffuse alla fine del secolo precedente e si comincia a sentire l'esigenza di un approccio più scientifico nell'osservazione della realtà quotidiana: nasce così la corrente letteraria chiamata Realismo e Naturalismo.
Se Balzac, un grande romantico, fu lo spartiacque tra idealismo e verismo, uno dei primi grandi autori del Realismo fu Flaubert. La sua Madame Bovary è del 1856 ed è considerata un esempio di Realismo: colpisce soprattutto il contrasto tra le fantasie "romantiche" della protagonista e la constatazione che queste non possono essere realizzate. In realtà l'opera è molte altre cose, soprattutto una critica feroce della mediocrità borghese e della condizione femminile (la protagonista non riesce a fare nulla da sola perchè è una donna e spera, quindi, di concepire un maschio) 

Ma una donna ha continui impedimenti. A un tempo inerte e cedevole, ha contro di sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi. La sua volontà, come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c'è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene.

, nonchè un ritratto della società francese del tempo. Fatta questa breve introduzione, ci dedicheremo nei prossimi giorni all'analisi dei grandi scrittori russi (è un bel salto nel tempo perchè iniziai a leggerli proprio negli ultimi anni del liceo).

sabato 21 gennaio 2012

L'origine dell'uomo

Dopo aver riassunto la storia dell'Italia e della Spagna, diamo una rapida occhiata a quel che succede nel resto del mondo. A Londra, nel 1864, viene costituita la I Internazionale, alla quale aderirono un po' tutti, dai mazziniani italiani, ai seguaci di Proudhon, agli anarchici di Bakunin, alla trade unions, ma entrerà presto in crisi a causa dei contrasti tra marxisti e anarchici (quest'ultimi ritenevano che il nemico da sconfiggere fosse lo Stato e non il capitalismo) e nel 1876 fu sciolta.
Una II Internazionale sarà fondata a Parigi nel 1889 e sarà costituita dai partiti socialisti e laburisti europei ( e sostanzialmente sarà dominata dal partito socialdemocratico tedesco).
Tra il 1861 e il 1865 si combatte la Guerra di Secessione Americana, tra gli stati del Nord, liberali e industriali, e quelli del Sud, la cui economia era basata sullo schiavismo ("La capanna dello zio Tom", di B.Store, è del 1854), che terminerà con la vittoria del Nord.
Parigi vive nel 1871 l'esperienza della Comune (poco più di 2 mesi): dopo le sconfitte con la Prussia, il popolo aveva imposto la proclamazione della Repubblica, tuttavia il governo provvisorio deluse le aspettative e il 18 marzo 1871 Parigi insorse cacciando il governo Thiers ed eleggendo direttamente il governo cittadino. Poco tempo dopo, la rivolta della Comune sarà duramente repressa. Resta intatto il suo fascino, probabilmente dovuto agli aspetti di autogestione e anarchia che la caratterizzarono; Marx la celebrò così :

 Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti 

e più  tardi, Sartre scriverà, per spiegare la differenza tra legalità e legittimità, che la legale Versailles massacrò la legittima Comune.
Ma torniamo ai libri, che è l'elemento portante di questo blog: nello stesso anno dell'esperienza della Comune, Darwin scrive "L'origine dell'uomo". Già nel 1859, con "Sull'origine della specie", aveva scandalizzato filosofi, teologi e scienziati; con la pubblicazione del suo nuovo studio si tirò addosso nuove accuse. Darwin però non sostenne mai che l'uomo discendesse dallo scimpanzè ; egli affermava che l'antenato dell'uomo, se fosse vivo, sarebbe classificato un gradino al di sotto sulla scala evolutiva. Al di là delle affermazioni, restano però i suoi studi sui quali non si può chiudere gli occhi. E passando infine dalla scienza alla fantascienza, c'è l'inquietante film "il pianeta delle scimmie" a farci riflettere.


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P.S. Una canzone fantastica...750.000 anni fa...l'amore?




venerdì 20 gennaio 2012

Los pronunciamientos

Spostiamoci in Spagna, per vedere come tramonta definitivamente l'impero spagnolo con la perdita delle grandi colonie e il procedere inarrestabile della decadenza di quel che resta del Regno.
Dopo la sconfitta di Napoleone, tornò sul trono Ferdinando VII che per prima cosa abrogò la Costituzione di Cadice. Le rivolte nelle colonie ed il malcontento popolare  lo costrinsero a far tornare in vigore la Costituzione e ad indire delle elezioni che istituirono un regime liberale, tuttavia fragilissimo per i contrasti interni e l'ostilità del clero. L'intervento francese del 1823 ristabilì l'ordine a favore dei Borboni e si ebbe successivamente il "Decennio nefasto" (1823-1833) durante il quale la repressione fu durissima.
Considerate che nel frattempo, dell'immenso impero iniziale alla Spagna restavano solo Cuba, Puerto Rico e le Filippine. Problemi di successione dinastica (Ferdinando VII non ebbe figli maschi) portarono alla prima guerra Carlista (1833-1840) tra suo fratello Carlo e Maria Cristina di Borbone, in qualità di Reggente per sua figlia Isabella. Carlo verrà sconfitto e morirà in esilio e Maria Cristina cercherà di accogliere alcune rivendicazioni liberali, affidando il potere ai moderati. La pace non poteva durare e si arrivò allo scontro con gli "esaltati" che attaccarono i conventi, mentre i progressisti diventavano sempre più forti grazie all'appoggio dei generali e nel 1840 ci fu il "pronunciamento" del generale Espartero contro Maria Cristina che fu costretta all'esilio.
Espartero represse duramente la rivolta della borghesia di Barcellona ed esercitò la reggenza fino al 1843, quando salì sul trono Isabella II. Nonostante alcune riforme, la regina era alquanto impopolare e nel 1868 ci fu una nuova rivolta guidata dai generali Prym, Serrano e Topete.
Con la "gloriosa rivoluzione" venne proclamata una Monarchia Costituzionale e venne dichiarato Re, con l'appoggio dei carlisti e dei progressisti, Amedeo di Savoia, che abdicherà nel 1873, stanco delle continue congiure. Arriviamo così alla I Repubblica Spagnola, che ebbe vita brevissima, perchè nel 1874 si ha la Restaurazione Borbonica a seguito del pronunciamento del generale Arsenio Martinez Campos. Questo lungo excursus sul XIX secolo in Spagna ha come obiettivo quello di mostrare, appunto, il delinerasi di alcune caratteristiche proprie di questo paese, dalla divisione tra una Spagna "rossa", che arriva a bruciare i conventi, ed una Spagna "nera", latifondista e clericale. Altre caratteristiche sono la debolezza della Repubblica, per la mancanza di una borghesia forte e di un proletariato maturo, nonchè il costume dei "pronuncimentos" dei generali, ossia per farla breve, del golpe militare.

giovedì 19 gennaio 2012

Garibaldi e la questione meridionale

Soddisfacendo la giusta richiesta di un lettore, vorrei spendere qualche parole sulla figura straordinaria di Giuseppe Garibaldi. Generoso, instancabile, sempre pronto a rispondere ad ogni chiamata della dea Libertà, scrisse con le sue "Camicie Rosse" delle pagine memorabili della nostra storia.
Massone ( ma la Massoneria del tempo era progressista), repubblicano, sempre pronto a difendere gli oppressi di tutti i paesi, si meritò il nome di "Eroe dei 2 mondi" per il suo impegno in Sud America.
Accanto al grande uomo, c'era però anche una grande donna, la brasiliana Anita de Jesus Ribeiro da Silva, anche lei coraggiosissima e morta dopo la caduta della Repubblica Romana (1849).
Ma torniamo all'impresa più importante, la conquista del Regno delle Due Sicilie: se l'arrivo di Garibaldi suscitò l'entusiasmo delle masse, il risveglio dopo l'unità fu amaro. L'economia del Sud fu letteralmente distrutta dalle imposte e dagli espropri dei nuovi governanti, gettando le premesse per l'immigrazione di massa. Il malcontento salì alle stelle e il brigantaggio assunse una dimensione di guerra di secessione. In effetti, i briganti all'inizio erano finanziati e supportati da clero e latifondisti, leali ai Borboni e timorosi di perdere i loro privilegi; successivamente però i vecchi potenti si misero d'accordo con i liberali piemontesi ed i briganti furono abbandonati al loro destino. L'esercito piemontese, per onor di cronaca, faticò non poco ad aver ragione del brigantaggio e la repressione che mise in atto fu più che feroce.
Non era certamente questa l'Italia che Garibaldi sognava: sulle macerie di un Sud umiliato e ferito nasce la "questione meridionale", espressione utilizzata nel 1873 dal deputato Billia per indicare la disastrosa situazione economica del Sud, questione che si trascina fino ai giorni nostri.
Un gruppo di studiosi, raccoltosi dietro Pasquale Villari, e che comprendeva anche Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti (la mia scuola elementare era a quest'ultimo dedicata)  cominciò presto a denunciare le responsabilità dell'Amministrazione, sin dal famoso articolo "Di chi è la colpa?" del 1866:

La colpa è del sistema che ci ha governati finora. Sono le consorterie, le malve, il piemontesismo, sono gli uomini che hanno sempre tenuto il mestolo in mano e sempre a danno del paese. Ora finalmente si vede chiaro dove ci hanno condotti...

Villari avrà modo di espandere questi concetti nelle sue "Lettere meridionali".
Aggiungo infine, a discreto della tesi che l'Italia si divide in "buoni" e "cattivi", che il Sud ha fornito con l'immigrazione al Nord un capitale umano di un valore di gran lunga maggiore dei trasferimenti finanziari fatti dal Nord al Meridione (vedere studio di De Meo).

mercoledì 18 gennaio 2012

Mille

Riprendiamo il filo degli eventi e continuiamo con la Storia d'Italia, dato che in questi anni si realizza l'unità nazionale. Grazie alla partecipazione alla guerra di Crimea, Cavour ottenne l'appoggio della Francia nella Seconda Guerra d'Indipendenza(1859), però riuscì soltanto a realizzare l'annessione della Lombardia in quanto Napoleone III non rispettò gli accordi  (che prevedevano anche l'annessione del Veneto) e dovette cedere ai francesi Nizza e Savoia. Terminata la guerra, alcuni ducati vollero unirsi allo stato sabaudo e così  il territorio sotto il Regno comprendeva Valle d'Aosta, Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, mentre mancavano ancora le regioni dello Stato Pontificio (Umbria, Marche e Lazio) ed il Sud.
Nel 1860 una spedizione composta inizialmente da 1000 volontari e guidata da Giuseppe Garibaldi, riuscì a cogliere una serie entusiasmante di vittorie e, conquistandosi l'appoggio delle popolazioni locali, sbaragliò l'esercito borbonico; a seguito di un plebiscito, poi, fu decretata l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno Sabaudo e nel 1861 fu proclamato il Regno d'Italia.
A questo punto mancavano Roma, il Veneto,  il Friuli, la Venezia Giulia ed il Trentino Alto Adige: nel 1866 l'Italia si allea con la Prussia contro l'Austria (III Guerra d'Indipendenza) e riesce ad ottenere, grazie alla vittoria definitiva dei Prussiani, il Veneto e parte del Friuli Venezia Giulia. Mancava ancora Roma, e Garibaldi cercò  di conquistarla nel 1867 ma fu sconfitto dai francesi (aveva fatto un primo tentativo nel 1862 ed allora era stato l'esercito sabaudo a fermarlo). La sconfitta di Napoleone III a Sedan nella guerra franco-prussiana tolse al Papa l'appoggio dei francesi e le truppe italiane poterono finalmente conquistare Roma (1870, "la breccia di Porta Pia"). Quindi, l'Italia fu finalmente fatta,  ma non furono però tutte rose e fiori... Se l'impresa di Garibaldi è una delle pagine più belle del Risorgimento Italiano, con l'unità si apre la "Questione Meridionale" che sarà l'argomento del prossimo post.

martedì 17 gennaio 2012

La Commedia Umana

Considerando che Marx era un grande estimatore di Balzac, e visto che l'ultimo argomento trattato è stato "Il Manifesto", direi che possiamo parlare oggi della "Commedia Umana". Un'opera monumentale, che deve il suo nome alla "Divina Commedia" di Dante, e che raggruppa e collega moltissime delle opere dell'autore. L'obiettivo di Balzac era descrivere tutta la propria epoca, costruendo un "edificio" diviso in tre sezioni:
  1. Studi dei costumi 
  2. Studi filosofici 
  3. Studi analitici
Ciascuna sezione è poi ulteriormente suddivisa. Leggere tutta l'opera è un'impresa titanica; i due romanzi più famosi sono comunque Eugénie Grandet e Le père Goriot.
I personaggi creati da Balzac sono migliaia e costituiscono un'umanità suddivisa in classi sociali. Ciascun personaggio è espressione dell'ambiente in cui vive. Colpisce la meticolosità che l'autore dedica alla descrizione del patrimonio di ognuno: il denaro come unità di misura dell'uomo.
Come vedete, Balzac precede Marx di qualche anno (La Commedia Umana è del 1844) e la sua opera sarà fondamentale per lo sviluppo della letteratura realista, naturalista e postnaturalista (che tratteremo in seguito).

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lunedì 16 gennaio 2012

Lo spettro

Uno spettro si aggira per l'Europa...
Si, come avevamo anticipato ieri, è ora di parlare del Manifesto del Partito Comunista, di Marx e Engels.
Questo spettro è ovviamente il comunismo, e Marx ed Engels ritengono giunto il momento di contrapporre a questo spettro agitato dai conservatori un Manifesto in cui i comunisti espongano apertamente il loro pensiero.
Fondamento del pensiero marxista è la visione della Storia come lotta di classe; gli autori riconoscono la spinta rivoluzionaria della borghesia, tuttavia ormai questa classe sociale ha perduto il suo impulso innovatore, istituzionalizzando lo sfruttamento del proletariato. Il prossimo passo deve essere quindi il superamento del sistema di produzione capitalista e la sostituzione della dittatura della borghesia con la dittatura del proletariato(temporanea), per arrivare ad avere alla fine una società senza classi (il comunismo).
Gli autori analizzano le altre teorie socialiste, (la definizione "socialismo  utopistico" è di Marx)  a cui contrappongono il loro "socialismo scientifico": il comunismo diviene una logica conseguenza dell'evolversi della Storia.
Inoltre sottolineano la necessità di una visione internazionale del socialismo ("proletari di tutti i  paesi unitevi").
Da questo momento, il mondo non sarà più lo stesso: lo spettro si materializzerà e avrà conseguenze dirompenti (non dove aveva previsto Marx, ossia nei paesi a capitalismo avanzato ma in paesi con un sistema feudale o quasi), ma questo lo vedremo quando tratteremo il Novecento.

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domenica 15 gennaio 2012

Succede un 48

E' giunto il momento del nostro riassunto degli eventi storici che caratterizzano questo periodo.
Nel 1830 il Belgio conquista la sua indipendenza (il Congresso di Vienna lo aveva unito all'Olanda, per creare uno Stato cuscinetto), così come la Grecia che si era sollevata otto anni prima contro i turchi.
Spostiamoci, però, nel nostro paese e vediamo di sintetizzare quali erano gli equilibri politici in quegli anni. L'Italia, così come la conosciamo ora, non esisteva; era divisa in stati e statarelli, con gli Austriaci a Nord ed i Borboni a Sud e l'unico Stato ad avere, oltre che l'indipendenza, un qualche peso sulla scacchiera europea era il Regno di Sardegna (ossia il Piemonte). L'idea di Italia nasce nei salotti dell'aristocrazia e ha uno dei suoi massimi teorici in Giuseppe Mazzini, il fondatore della Giovane Italia, un'organizzazione che aveva come fine quello di creare una repubblica democratica unitaria. Nei libri di scuola spesso non viene riportato, ma Mazzini fu davvero un intellettuale di altissimo livello ed il suo pensiero ebbe una grande influenza in tutta Europa. 
Fatta questa dovuta introduzione, passiamo, senza indugio, ai moti che scossero l'Europa nonchè la nostra penisola.
I moti del '48, furono, infatti, diretta conseguenza dei moti parigini e viennesi, e sfociarono in insurrezioni in quasi tutti gli Stati italiani. A Venezia la popolazione insorse e proclamò la Repubblica; a Milano, in 5 eroiche giornate, la rivolta popolare costrinse gli Austriaci a ritirarsi nel Quadrilatero; a Parma gli insorti costrinsero il Duca a concedere la Costituzione (giova ricordare che la rivendicazione era sempre quella: lo Statuto o la Costituzione [cosa che, quando vedevano la mala parata i sovrani concedevano per poi revocarla quando le acque si erano calmate]); a Modena il Duca si dette direttamenete alla fuga.
Tutti questi fatti spinsero Carlo Alberto a dichiarare guerra all'Austria (I guerra d'indipendenza), ed in principio anche i sovrani di Toscana, Napoli ed il Papa inviarono truppe in appoggio ai Piemontesi.
La condotta di Carlo Alberto suscitò  però molte perplessità (incertezze, lentezza, eccessiva fretta di fare l'annessione della Lombardia) e uno dopo l'altro gli altri sovrani ritirarono le loro truppe e alla fine i Piemontesi furono sconfitti definitivamente a Custoza  lasciando Milano nelle mani degli Austriaci ; nel Regno delle Due Sicilie, i Borboni repressero i moti rivoluzionari, mentre in Toscana invece il Granduca si diede alla fuga e venne formato un governo provvisorio.
Anche nello Stato pontificio la situazione precipitò: le agitazioni  del '49 costrinsero il Papa a rifugiarsi a Gaeta e fu proclamata la Repubblica Romana, guidata dal triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini. L'intervento dei francesi in appoggio al Papa mise fine all'esperienza della Repubblica Romana e un mese dopo anche Venezia, stremata dalla fame e dal colera, dovette arrendersi agli Austriaci.
Quasi ovunque la vittoria della controrivoluzione fu seguita da una dura repressione; in sostanza, tutte le Costituzioni furono annullate  (salvo lo Statuto Albertino che continuò a vigere nel Regno di Sardegna), mentre quella francese sancì la dittatura di Luigi Bonaparte.
Solo in Inghilterra continuò ad esserci un regime di ispirazione liberale, non perchè non vi fossero tensioni sociali ma perchè le istituzioni seppero mediare efficacemente: non dimentichiamo che il paese dove la  rivoluzione industriale arrivò prima fu proprio l'Inghilterra, che quindi aveva una classe operaia molto forte (e nel 1848, a Londra, Marx e Engels pubblicavano il Manifesto del Partito Comunista [ma di questo ci occuperemo nel prossimo post]).

P.S. Non tutti salutarono però con entusiasmo quella che fu chiamata "la primavera dei popoli".
Aleksandr Herzen, filosofo e scrittore russo, assunse in proposito posizioni molto critiche nei suoi saggi.
In particolare, in occasione della celebrazione della Repubblica Francese nel 1848, sottolineò come, al di là degli slogan, la struttura feudale fosse rimasta intatta.
I liberali, a suo avviso, si erano preoccupati di assicurare la libertà per la propria cerchia,  ma non per le classi sociali più basse.
"Le catene erano state spezzate, ma i muri delle prigioni erano rimasti intatti".
Il pensiero di Herzen influenzerà poi i movimenti populisti ( populista: altra parola impropriamente usata nel dibattito politico di questi ultimi anni).
 

sabato 14 gennaio 2012

Cos'è un bacio?

Per Peter Pan era un ditale, per Cyrano un giuramento fatto un po' più da vicino, un apostrofo rosa messo tra le parole "t'amo".
Lo so che non sto rispettando la cronologia (il "Cyrano de Bergerac" di Rostand è di fine secolo), però la tentazione di parlare del più nobile e disinteressato degli innamorati subito dopo aver parlato dello sciupafemmine per eccellenza, Don Juan Tenorio, era troppo grande.
Come sapete, l'opera si ispira ad un personaggio realmente esistito, Savinien Cyrano de Bergerac che fu effettivamente soldato, drammaturgo (fu amico di Molière) , antesignano dei moderni scrittori di fantascienza ("Gli stati e gli imperi della luna") ed effettivamente provvisto di una lingua pericolosa come la sua spada.
Ma torniamo al dramma del personaggio del romanzo di Rostand, ossia al suo amore represso per Rossana. Ho visto rappresentare Cyrano più volte al teatro e l'ultima volta riflettevo sul fatto che Cyrano ama Rossana perchè è bella, mentre Rossana, se all'inizio è innamorata di Cristiano per il suo bell'aspetto, successivamente finisce per apprezzare l'uomo per il suo cuore (che è quello di Cyrano), giungendo a dire che se fosse brutto l'amerebbe anche di più.
Possibile che perfino questo guascone, generoso come nessuno, alla fine, quando si tratta di scegliere una donna,  sia capace di scegliere solo con gli occhi? Sarebbe mai stato capace di scrivere le stesse lettere ad una donna bruttina? Beh, non sconvolgiamo la morale del racconto con interrogativi la cui risposta forse non ci piacerebbe e speriamo che in qualche altra dimensione parallela Cyrano, oltre a infilzare, giunto al fin della licenza, i suoi nemici,  abbia finalmente ottenuto il sospirato bacio.

The Kiss - Klimt


P.S. E per concludere, l'immortale canzone dei cadetti di Guascogna...

Ce sont les cadets de Gascogne
De Carbon de Castel-Jaloux;
Bretteurs et menteurs sans vergogne,
Ce sont les cadets de Gascogne !
Parlant blason, lambel, bastogne,
Tous plus noble que des filous,
Ce sont les cadets de Gascogne
De Carbon de Castel-jaloux.

Questi sono i cadetti di Guascogna
di Carbon di Castel-jaloux;
Spadaccini e mentitori senza vergogna!

Questi sono i cadetti di Guascogna.
Vantan blasone, insegna e stemma
tutti più nobili dei farabutti;

Questi sono i cadetti di Guascogna
di Carbon di Castel-jaloux.


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Don Giovanni


Continuiamo il nostro viaggio nel Romanticismo e spostiamoci in Spagna, a Siviglia, nella mitica hostería del Laurel, per parlare del Don Juan Tenorio di Zorrilla.

DON LUIS:¿Cuántos días empleáis
en cada mujer que amáis?
DON JUAN: Partid los días del año
entre las que ahí encontráis.
Uno para enamorarlas,
otro para conseguirlas,
otro para abandonarlas,
dos para sustituirlas,
y una hora para olvidarlas.


DON LUIS:Quanti giorni impiegate
con ogni donna che amate?
DON JUAN:Dividete i giorni dell'anno
fra quelle che lì trovate.
Un giorno per farle innamorare,
un altro per averle,
un altro per abbandonarle,
due per sostituirle,
e un'ora per dimenticarle.

Le imprese di Don Giovanni sono state narrate anche da Tirso de Molina, Lord Byron e Moliere, ma ho scelto la versione di Zorrilla per l'eleganza dei versi e perchè in quest'opera il protagonista incarna meglio l'eroe romantico, libertino e ribelle ma anche redento, alla fine, dall'amore.
Che comunque il mito di Don Giovanni affascini un po' tutti ( oltre a quelli  già citati, fu ripreso da altri grandi scrittori e messo in musica da Mozart) mi sembra normale: è l'esaltazione della vitalità, quindi è un mito sempre moderno, che ciascuno provvede a riadattare ai tempi e ai luoghi (sono sicuro che un personaggio del genere esiste in tutti i luoghi ed in tutte le letterature). 
Certo, di "don giovanni" fasulli ce ne sono molti, ma che importa? In fin dei conti, come diceva Lord Byron:
And, after all, what is a lie? 'Tis but the truth in a masquerade.

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venerdì 13 gennaio 2012

Il rosso e il nero

Siamo arrivati a parlare di Stendhal e del suo grande romanzo psicologico, il Rosso e il Nero. Julien Sorel, giovane povero e ambizioso, conduce una lucida guerra contro la società e, alla fine, ne uscirà sconfitto. Cercando di salire la scala sociale servendosi dell'astuzia e del suo bell'aspetto, assiste al vanificarsi dei suoi sforzi proprio quando è vicino a coronare le sue ambizioni.
La sua sfortuna è quella di vivere nell'Europa della Restaurazione, in una società che ha chiuso le porte che erano state aperte ai giovani rampanti dalla Rivoluzione Francese e da Napoleone.
I due colori dovrebbero simboleggiare le due divise, quella rossa dell'esercito e quella nera della tonaca (Julien studia in seminario ma vorrebbe fare la carriera militare), ma a mio avviso rappresentano quelle zone recondite della nostra anima che Stendhal ha il merito di far emergere, anche se inquietanti. Chi, tra quelli che non sono nati nel privilegio, può affermare, con assoluta certezza, di non essere mai stato tentato sia dal seguire la strada delle passioni e dell'ideale per appagare la voglia di giustizia e libertà propria  della coscienza di classe, sia dall'adottare una condotta amorale come mezzo per migliorare le proprie condizioni di vita e vendicarsi così, in qualche modo, di una società che si disprezza?
Io non sono convinto, come gran parte della critica, che Julien abbia fatto una scelta netta: in alcune pagine del romanzo mi sembra di percepire una sincerità d'animo, anche se il suo agire sembra  lineare. E forse, proprio quando accetta il suo destino, fa la sua ultima scelta: sceglie il Rosso.
Il suo discorso alla giuria è forse la parte più "politica" del romanzo:
-Signori, non ho l'onore di appartenere alla vostra classe sociale....
Fosse vissuto in un altro periodo o in un altro luogo, le sue azioni (e quindi le sue scelte) sarebbero state nette, sarebbe stato un rivoluzionario, il tipico eroe romantico...Invece vive nella Francia dove è tornata l'aristocrazia e quindi viene sbeffeggiato e umiliato dal potere del denaro...No, pensandoci bene, in queste condizioni (Marx doveva ancora arrivare), uno come lui non poteva comportarsi diversamente.

giovedì 12 gennaio 2012

I am Jean Valjean

Esatto, stiamo per parlare di una delle più importanti opere della letteratura universale, Les Miserables di Victor Hugo e lo facciamo attraverso le parole dell'omonimo musical, che ha avuto un successo straordinario (la prima volta lo vidi in Londra nel 1992, l'ultima a Madrid lo scorso anno, quindi fate il calcolo...).



Di questo enorme romanzo, che abbraccia tutta l'umanità nelle sue diverse espressioni, vorrei soffermarmi sulla contrapposizione tra Jean Valjean e Javert. Il poliziotto Javert perseguita con estremo zelo, ahimè in buona fede, perchè è convinto che sia suo preciso dovere far rispettare la legge, Jean Valjean che, una volta graziato, è  riuscito a conquistare il benessere attraverso il proprio  lavoro.
Per errore, Javert crede di riconoscere Jean Valjean in un vagabondo e il vero Jean Valjean si trova di fronte ad un dilemma: lasciare che un innocente paghi al suo posto e liberarsi, così, della persecuzione di Javert o autodenunciarsi e riprendere la sua vita di fuggitivo? Le parole della canzone riassumono tutto il suo tormento e, alla fine, Jean Valjean decide di autodenunciarsi.
Dopo un lungo susseguirsi di eventi, Javert comprende che ha sprecato tutta la sua vita, non avendo amato mai nessuno ed essendosi dedicato anima e corpo a perseguitare per tanti anni un uomo migliore di lui, e quindi si suicida.
La morale è che l'applicazione delle leggi deve avere un'anima e non deve perdere mai di vista  l'essere umano, che è il fine di tutto, come ricorda con il suo esempio Monsignor Myriel, altro personaggio nobile dell'opera.

"Io ti dico che l’uomo è uomo quando non è testardo. Quando capisce che è venuto il momento di fare marcia indietro, e la fa. " (E. De Filippo)

martedì 10 gennaio 2012

Fragilità

Restiamo in Italia per parlare del più grande poeta italiano dell'800 e di un intellettuale di livello mondiale, Giacomo Leopardi. Pur essendo molte delle sue posizioni materialiste e basate sui principi dell'Illuminismo, di fatto fu un romantico e nelle sue opere trattò a tutto tondo i temi propri del Romanticismo, dal dolore dell'esistenza alla ricerca di un fine universale che dia un senso alla vita. I critici mettono l'accento sul pessimismo di questo poeta, ma a me, in verità, questa storia del "pessimismo cosmico" ha veramente stancato, sembra una di quelle definizioni ad effetto che fanno rumore ma non significano nulla(prendo a prestito un pezzo del Macbeth citato in un altro post). Si, Leopardi era materialista e considerava la materia come una prigione contro i cui muri si andavano a infrangere tutte le aspirazioni umane; ma proprio perchè lo spirito dell'uomo tende comunque all'infinito, non ci sarà mai una resa definitiva: i patrioti italiani che, in questo secolo di rivolte, dicevano, come racconta Carducci, "Con Manzoni in chiesa e con Leopardi sulle barricate", ne sono la riprova. Confesso che questa immagine di Leopardi "barricadero" mi intriga, così come l'immagine di un Leopardi "socialista", con la sua ricetta della solidarietà come unico baluardo contro le ingiurie che la materia propina all'individuo ("La Ginestra"). Ma forse la definizione più bella è quella di Francesco De Sanctis

Leopardi produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtú, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. 

Potrebbe sembrare un "arrampicarsi sugli specchi", ma stiamo parlando oltre che di uno dei più grandi poeti italiani, anche di un filosofo di primo piano, quindi ci andrei piano prima di bocciare l'interpretazione di De Sanctis. Concludo riprendendo il concetto della fragilità della vita umana, caro a Leopardi, e faccio un salto indietro nei secoli per ricordare la scelta di Achille, tra una vita breve e gloriosa e una vita lunga ma oscura, a dimostrazione che chi ha scritto l'Iliade la drammaticità della fragilità dell'esistenza l'aveva esaminata magistralmente. Nell'Odissea Omero farà poi fare una brusca retromarcia all'eroe ("Preferirei piuttosto fare il servo d'un bifolco che campasse giorno per giorno di uno scarso e misero cibo, piuttosto che essere sovrano nel regno dei defunti"), ma a me piace citare la frase che nel film Troy Achille dice a Briseide: 

Ti dirò un segreto, una cosa che non insegnano. Gli Dei ci invidiano, ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l'ultimo per noi, ogni cosa è più bella per i condannati a morte. E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora, questo momento non tornerà.

Si, un eroe come Achille avrebbe potuto dire benissimo una cosa del genere e a noi sta ricordarcene.

lunedì 9 gennaio 2012

Questo matrimonio non s'ha da fare

Torniamo al Romanticismo e parliamo ora di una delle pietre miliari della letteratura italiana, I promessi sposi di Alessandro Manzoni.
I promessi sposi è molto di più di un romanzo storico: se è vero che  le ricerche di Manzoni furono accurate ed i riferimenti puntuali, l'importanza per la lingua italiana di quest'opera è unica. E non parlo solo da un punto di vista tecnico: oltre che un romanzo storico, I promessi sposi è un romanzo popolare, ossia destinato al popolo; come con Shakespeare per gli inglesi, molte delle espressioni che oggi  fanno parte del linguaggio comune sono state coniate proprio dal Manzoni, dalla "notte degli imbrogli" all'"azzeccagarbugli", dalla "notte dell'Innominato" a "Carneade" (filosofo greco minore, della corrente degli "scettici", che se non lo avesse nominato Manzoni anche noi diremmo, come il povero Don Abbondio, "Chi era costui?"), dalla "Monaca di Monza" a "questo matrimonio non s'ha da fare" , "al conte zio" ecc.ecc..
L'opera è piena di personaggi indimenticabili, dal già citato Don Abbondio, alla Perpetua, ad Agnese e a Fra' Cristoforo.
Spenderei qualche parola in più per quest'ultimo che, emulo di San Francesco, prima guerriero e poi frate, è probabilmente l'unico gigante nel mondo manzoniano che è popolato da gente normale (anche il cattivo Don Rodrigo, in fin dei conti, è del tutto un mediocre ), se si escludono l'Innominato, grande nel male come nel bene, ed il cardinale Borromeo ( ma  sono personaggi secondari nella trama): sebbene nei suoi occhi possano esserci dei lampi di collera verso i prepotenti, ha scelto di combattere altre guerre e morirà curando i malati di peste. 
Oltre alla simpatia che ho per questa figura, Fra' Cristoforo  mi è utile per aggiungere un'altra delle caratteristiche di quest'opera: oltre che un romanzo storico, popolare, innovatore per la lingua italiana, è  anche un veicolo di valori: il Manzoni vuole diffondere attraverso l'opera i principi in cui crede.
Più che alla sempre presente Divina Provvidenza, mi riferisco, in proposito, soprattutto al coraggio di vivere:
"Se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare..", sostiene Don Abbondio (ed è una delle poche volte in cui il personaggio non fa ridere, nella sua piccolezza ha una sua dignità); "uno il coraggio se lo deve dare" è la sintesi della risposta del cardinal Borromeo.
Infine, "I promessi sposi" è anche un romanzo patriottico: sotto la veste del romanzo storico che analizza la dominazione spagnola, si vuole criticare l'occupazione austriaca a cui era sottoposta la Lombardia.
Bene, in Italia questa lettura è obbligatoria; siccome so che tra i miei lettori ci sono degli studenti di altri paesi, a loro la raccomando vivamente: è un MUST.


domenica 8 gennaio 2012

Agli inizi dell'800..

Riassumiamo brevemente alcuni eventi degni di nota che precedettero il Congresso di Vienna(1815) per poi rituffarci nel Romanticismo. Ricordate la macchina a vapore di cui abbiamo parlato qualche tempo fa anticipando il sogno della locomotiva, portatrice di speranza e di progresso? Beh, la prima locomotiva a vapore è del 1803. La Spagna ottiene la sua prima Costituzione(1812), mentre nei salotti inglesi brilla la stella di Lord Byron che nello stesso anno scrive il Pellegrinaggio del giovane Aroldo.
Nei primi decenni di questo secolo, si combattono numerose guerre ispano-americane e nel 1819 l'Argentina ottiene la sua indipendenza; nello stesso anno, Rossini compone il Barbiere di Siviglia e, soprattutto, Owen scrive la sua Utopia. Nonostante il fallimento dei suoi esperimenti, Owen può essere considerato a tutti gli effetti uno dei primi socialisti. Marx definirà Owen ed i suoi discepoli (in Francia avrà una anche una certa diffusione il pensiero politico-religioso di Saint Simon)  "socialisti utopisti" , per distinguere le loro idee dal suo socialismo scientifico; fatto sta che comincia a delinearsi un'altra grande forza che pian piano maturerà e avrà in seguito un effetto dirompente sulla Storia.

P.S. : Nel 1816, ispirandosi ad un fatto di cronaca, il naufragio della Méduse, Géricault aveva dipinto "La zattera della Méduse", opera fortemente emotiva che romperà con il neoclassicismo e diverrà un'icona del Romanticismo.

La zattera della Méduse
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giovedì 5 gennaio 2012

Attenti ai masnadieri

Elementare, stiamo per trattare l'opera di un altro dei giganti del Romanticismo tedesco, Schiller.
Schiller scrisse i Masnadieri quando era ancora studente e durante una rappresentazione fu arrestato e gli fu proibito di scrivere opere letterarie.
Il dramma, che ebbe un successo straodinario, narra le vicende di Karl Moor e di suo fratello Franz (i due sono complementari). Perseguitato da Franz, che vuole subentrargli nei diritti di primogenito, Karl si unisce ai Masnadieri, un gruppo di briganti dalle idee rivoluzionarie e che simboleggiano la ribellione alle leggi e alle convenzioni. Karl, comunque, anche senza la persecuzione di Franz, si sarebbe ribellato lo stesso: egli incarna l'eroe romantico, inevitabilmente destinato all'autodistruzione. Divenuto capo dei masnadieri, si contraddistingue per la generosità verso i poveri e l'odio verso gli sfruttatori e le ingiustizie; decide poi di presentare il conto a Franz, che si uccide. Ma il racconto non può avere un lieto fine: il padre di Karl muore sapendo che suo figlio è divenuto un brigante e Karl è costretto ad uccidere Amalia, la sua amata. Karl decide per ultimo di porre fine alla sua lotta, perchè si rende conto che non può cambiare il mondo, e si consegna ad un povero contadino affinchè possa intascare la taglia (nonchè per liberarsi dalla malvagità dei suoi compagni).  
L'ordine delle cose (anche se non è il migliore possibile, è  necessario, altrimenti tutto crollerebbe) viene così salvato dalla morte dei 4 personaggi principali, ciascuno  dei quali ha delle colpe ma non per questo viene "condannato" dall'autore: il padre ha maledetto ingiustamente Karl, però perchè ingannato; il perfido Franz alla fine si pente e paga con il suicidio il suo debito; Amalia è colpevole di amare un brigante, ma all'amore tutto si perdona, soprattutto durante il Romanticismo, e Karl, responsabile di molte violenze, viene assolto per la disperazione causata dalla maledizione paterna e per la sua generosità verso gli oppressi. Vi è, dunque, una sostanziale accettazione dei personaggi, con le loro virtù e i loro difetti (e dietro ci sono i Masnadieri, che servono a fare da sfondo all'opera).
Questo dramma divenne poi anche un'opera lirica di Giuseppe Verdi.

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mercoledì 4 gennaio 2012

Noi romantici

Abbiamo più volte accennato ad Ugo Foscolo, ed è giunto il momento di inserirlo nel suo periodo, il Romanticismo. L'opera di cui vi parlerò è Le ultime lettere di Jacopo Ortis, giovane studente che, vedendo il tramonto dei suoi ideali (Napoleone vende il Veneto agli Austriaci) e dei suoi sogni d'amore, decide di togliersi la vita.

Taci, taci: - vi sono de' giorni ch'io non posso fidarmi di me: un demone mi arde, mi agita, mi divora. Forse io mi reputo molto; ma è mi pare impossibile che la nostra patria sia così conculcata mentre ci resta ancora una vita. 
...
Oh! se il tiranno fosse uno solo, e i servi fossero meno stupidi, la mia mano basterebbe. Ma chi mi biasima or di viltà, m'accuserebbe allor di delitto; e il savio stesso compiangerebbe in me, anziché il consiglio del forte, il furore del forsennato. Che vuoi tu imprendere fra due potenti nazioni che nemiche giurate, feroci, eterne, si collegano soltanto per incepparci? E dove la loro forza non vale, gli uni c'ingannano con l'entusiasmo di libertà, gli altri col fanatismo di religione: e noi tutti guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza, gemiamo vili schiavi, traditi, affamati, e non provocati mai né dal tradimento, né dalla fame. - Ahi, se potessi, seppellirei la mia casa, i miei più cari e me stesso per non lasciar nulla nulla che potesse inorgoglire costoro della loro onnipotenza e della mia servitù! 
 ...
Fortemente influenzata da un'opera preromantica di Goethe, I dolori del giovane Werther, (entrambi i protagonisti si suicidano) il romanzo di Foscolo si caratterizza per gli ideali patriottici di Jacopo Ortis che non sono presenti, invece, in Werther.
Jacopo incarna al meglio l'eroe romantico, nobile e generoso, e quindi inesorabilmente destinato alla sventura: tuttavia la sconftta di Jacopo nulla toglie all'importanza della sua ribellione e accende una speranza che forse un domani ci potrà essere una società più giusta e libera.
In fin dei conti, l'Illuminismo non era riuscito a sottrarre dall'oppressione del potere chi non possiede niente (ed, al momento, non ci è ancora riuscito nessuno) : con il Romanticismo inizia una nuova rivolta.

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martedì 3 gennaio 2012

Facciamo un patto..

Filosofia ho studiato,
diritto e medicina,
e, purtroppo, teologia,
da capo a fondo, con tutte le mie forze.
Adesso eccomi qui, povero illuso,
e sono intelligente quanto prima!
Mi chiamano magister, mi chiamano dottore,
e già saranno almeno dieci anni,
di su, di giù, per dritto e per traverso,
che meno per il naso gli studenti...
E nulla, vedo, ci è dato sapere!
Il cuore per poco non mi scoppia.
La so più lunga, certo, di tutti i presuntuosi,
dottori e maestri, preti e scribacchini;
né scrupoli né dubbi mi tormentano,
non temo né l'Inferno né il demonio...

Entriamo finalmente nel Romanticismo, con uno dei suoi massimi esponenti: Johann Wolfang Goethe.
L'opera che stiamo analizzando è, ovviamente, il Faust.
Il dottor Faust rompe con l'Illuminismo: a lui la conoscenza che si ottiene dai libri non interessa, vuole una conoscenza più intuitiva, per questo si avvicina alla magia. Faust è spinto a firmare il contratto con Mefistofele soprattutto dalla sete di conoscenza. E, come l'Ulisse di "fatti non foste per viver come bruti", che Dante mette all'Inferno, vuole arrivare al di là di quelli che sono i limiti umani...Ma la sete smisurata di conoscenza ha come prezzo il degrado della coscienza, questa è la morale che alberga nell'opera. Tuttavia la partita non è chiusa e questo tema, come vedremo, tornerà presto al centro della discussione.

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lunedì 2 gennaio 2012

Arriva l'Imperatore

Più che sulle brillanti vittorie, vorrei concentrarmi sull'importanza che ebbero le guerre napoleoniche nella diffusione degli ideali della Rivoluzione francese in tutta Europa.
Repubblicani e liberali videro nell'invasione francese una nuova speranza; in Italia Foscolo accolse con grande entusiasmo l'arrivo delle truppe napoleoniche: si arruolò nella Repubblica Cispadana e compose un'ode a Bonaparte liberatore. La speranza morì giovane, perchè Napoleone cedette poi il Veneto all'Austria con il trattato di Campoformio, così come durò poco più di un soffio di vento l'esperienza della Repubblica Napoletana del 1799, soffocata nel sangue dei patrioti  quando i francesi furono costretti a ritirarsi e la giovane Repubblica dovette difendersi da sola. 
Ma oltre alle speranze, Napoleone regalò alla nostra penisola anche il Codice Napoleonico, che confluirà poi nel codice civile del 1865 ed è tutt'oggi la base del diritto italiano: i principii del laicismo, dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge , della libertà di coscienza, della difesa della proprietà vengono proprio dal codice Napoleonico.
Si, fu vera gloria, e come ho avuto modo di dire, certe sconfitte sono solo apparenti: Waterloo, Sant'Elena e la Restaurazione con il Congresso di Vienna non cambiarono le cose: il tentativo di rimpiazzare i principii dell'Illuminismo con  vecchi principii reazionari politico-religiosi era destinato a fallire: in molti luoghi, negli stessi anni che seguirono la Restaurazione, continuarono a vigere le leggi fatte da Napoleone, in tutto o in parte, e oggi questi principii sono universalmente condivisi.

P.S.:  Negli anni dell'invasione Napoleonica, si crea in Italia la leggenda di Fra' Diavolo, un bandito che farà un'incessante guerriglia ai francesi e che ispirerà sia Dumas che Auber. L'opera di Auber contiene, però, ben poca verità storica: Fra Diavolo, ossia Michele Pezza, era un assassino a tutti gli effetti, ben lontano dal gentiluomo raffinato del film omonimo che ha per protagonisti gli irresistibili Stanlio e Ollio.

Stanlio e Ollio: Fra Diavolo
Post collegatiStanlio e Ollio

domenica 1 gennaio 2012

Chi ti credi di essere? Napoleone?

Prima di parlare dei successivi eventi storici, che vanno da Napoleone al Congresso di Vienna, vorrei aprire l'anno riassumendo altri avvenimenti, degni di nota, che caratterizzano questa fine di secolo.
Tra la guerra di Indipendenza Americana e la Rivoluzione Francese, Kant scrive la Critica della ragion pura, opera monumentale della cultura occidentale; del resto, questo è il secolo dei filosofi e, come avevo accennato precedentemente, la stella della Germania comincia a raggiungere il suo  massimo splendore nel cielo della cultura europea (Beethoven compone l'Eroica quando Napoleone diviene imperatore).
Ma torniamo alla Spagna, che abbiamo tralasciato per un poco, perchè nella pittura è Goya ad emergere in questo periodo. Oltre alla celebre Maja desnuda, opera protagonista di uno spassosissimo film di Totò, Totò,Eva ed il pennello proibito,  vorrei ricordare le opere dedicate alla guerra di indipendenza spagnola (1808-1814: gli spagnoli crearono non pochi grattacapi a Napoleone, e a tal proposito suggerisco Un día de cólera  di Arturo Pérez-Reverte, che racconta, in modo avvincente, la rivolta del 2 maggio dal punto di vista della gente comune: mi ha colpito soprattutto la prima parte, che riesce a descrivere in modo magistrale l'aumentare graduale della rabbia e dell'intolleranza  degli spagnoli nei confronti degli invasori francesi ). Napoleone sarà  il protagonista, però, del prossimo post.
Buon 2012. 


Goya - Carga de los mamelucos
Goya - Fusilamientos en la Moncloa