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domenica 23 febbraio 2014

Uomini e no

Ricordo che un anno, quando ero studente, feci un corso di francese in una scuola di lingue in via Elio Vittorini. Mi trovai bene, l'ambiente era internazionale e simpatico e sia i docenti  che lo staff erano molto amichevoli (ma del resto è difficile che le persone la cui vocazione è quella di insegnare a parlare siano antipatiche e scorbutiche, come direbbe un mio amico “sarebbe una contraddizione pedagogica troppo grande”) .
Rendiamo omaggio, allora, a questo scrittore parlando per l'appunto del libro che regala il titolo al post odierno, “Uomini e no”.
“Uomini e no” è un romanzo ermetico: sullo sfondo vi sono le azioni di guerriglia partigiana e le rappresaglie tedesche, ma il racconto è incentrato sulle riflessioni esistenziali dell'autore.
L'obiettivo, a mio avviso, non è quello di celebrare la lotta partigiana ma di esplorare la relazione tra il ricorso alla violenza e l'aspirazione alla serenità, tra umanità e disumanità, tenendo ben a mente che queste componenti sono presenti in ognuno di noi e che il solo antidoto al “fascismo” e al “nazismo” , quando non è un'innata innocenza a guidare i nostri passi sul cammino della giustizia, è l'amore per la verità.

L’uomo, si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è ammalato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e che era, in lui, per renderlo felice. Questo è l'uomo.
Ma l'offesa che cos'è? E' fatta all'uomo e al mondo.
…..

sabato 8 febbraio 2014

Certe volte..

Dalle amare vicende d'Irlanda passiamo a parlare di altre forme di lotta e di protesta, tirando fuori dalla libreria un filosofo spesso ignorato o quasi nei programmi scolastici, ma i cui scritti furono d'ispirazione per Gandhi e Martin Luther King: Henry David Thoreau.
Thoreau fu infatti “il profeta della disobbedienza civile” e pagò inoltre con il carcere per aver dato seguito con le azioni alle sue convinzioni : fortemente contrario alla guerra con il Messico, si rifiutò di pagare le tasse.
Ma vediamo alcune citazioni prese dal suo saggio “On the duty of civil disobedience” (“Sul dovere della disobbedienza civile”):

If... the machine of government... is of such a nature that it requires you to be the agent of injustice to another, then, I say, break the law

Se...la macchina del governo... è di natura tale da richiedere che tu sia l'agente di un'ingiustizia verso un'altra persona, allora, io dico, non rispettare la legge.

Già, qualsiasi ingiustizia ha sempre bisogno di complicità...

It is not a man's duty, as a matter of course, to devote himself to the eradication of any, even the most enormous wrong; he may still properly have other concerns to engage him; but it is his duty, at least, to wash his hands of it, and, if he gives it no thought longer, not to give it practically his support. If I devote myself to other pursuits and contemplations, I must first see, at least, that I do not pursue them sitting upon another man's shoulders.

Non è dovere di un uomo, necessariamente, dedicarsi allo sradicamento di un'ingiustizia, fosse anche la più enorme; egli può avere benissimo altre preoccupazioni a cui impegnarsi; ma è suo dovere, almeno, lavarsene le mani e, se non le dedica altri pensieri, non darle, nella pratica, il suo supporto. Se mi dedico ad altre attività e contemplazioni, devo prima accertarmi che non le perseguo sedendomi sulle spalle di un altro uomo.

E sarebbe già qualcosa....

Non vorrei però che a seguito di questi brevi stralci che vi ho riportato il pensiero di Thoreau venisse frainteso: egli non metteva in discussione l'autorità della legge né il volere della maggioranza, che è poi la base della democrazia (anche se la qualità della democrazia si misura dal rispetto che c'è verso le minoranze..), ma affermava che nemmeno la legge e la volontà popolare possono violare i diritti fondamentali dell'individuo.
Era il 1849.

Post collegati: Gandhi

giovedì 6 febbraio 2014

Vento d'Irlanda

Facciamo un po' di storia e facciamola, come spesso avviene, attraverso gli occhi del cinema.
Il film scelto è “The Wind That Shakes the Barley “ (tradotto letteralmente “Il vento che scuote l'orzo”) di Ken Loach (2006) ed il tema affrontato è la guerra d'indipendenza irlandese (e la conseguente guerra civile), attraverso le vicende di due fratelli, gli O'Donovan.
In una terra dove gli inglesi la fanno da padroni cresce la rabbia dei giovani irlandesi e Damien, medico in procinto di trasferirsi per lavoro a Londra, decide di non prendere il treno e si unisce alla brigata dell'IRA comandata dal fratello Teddy.
Prendere o non prendere un treno può cambiare radicalmente la tua vita, l'avevamo già visto in un post precedente.
Brutalità e ritorsioni si susseguono, ma alla fine gli inglesi sono costretti a ritirarsi e a concedere all'Irlanda un po' di autonomia (siamo nel 1921). A questo punto l'esercito repubblicano si spacca: c'è chi si accontenta sperando di ottenere più autonomia in seguito e chi invece vorrebbe continuare la lotta fino alla conquista dell'indipendenza assoluta. Ma oltre che sulla strategia di medio-lungo termine, la divisione è proprio sugli obiettivi: da un lato la borghesia vorrebbe limitarsi a cambiare la bandiera e a mantenere le cose più o meno così come stanno e dall'altro gli oltranzisti vedono nella guerra la possibilità di mutare gli equilibri sociali (il livello di denutrizione infantile in Irlanda era piuttosto alto).
E questa divisione spacca anche gli O'Donovan e così Damien, ritenendo di essersi spinto troppo oltre per accettare il bicchiere mezzo vuoto, si ritrova dalla parte di coloro che vorrebbero continuare la guerra e Teddy, che è più realista e che preferisce portare a casa comunque un risultato piuttosto che correre il rischio di far tornare l'esercito inglese, si schiera con coloro che sono favorevoli al trattato con l'Inghilterra.
Scoppia quindi la guerra civile e sarà proprio Teddy a comandare il plotone di esecuzione che ucciderà Damien.
Ed è la logica, drammatica conclusione dell'eterno conflitto tra ideali e realpolitik che ritroviamo praticamente in ogni guerra/rivoluzione: il vero idealista è matematicamente condannato all'autodistruzione... Damien potrebbe salvarsi e vivere i suoi giorni con la donna che ama, ma non vuole: dal momento in cui ha giustiziato un suo amico d'infanzia, colpevole di aver rivelato, sotto pressione, i nomi dei componenti della brigata all'intelligence inglese, sente di essere giunto in un vicolo cieco dal quale può uscire solo con la morte.. Il compromesso per lui è inaccettabile, le suppliche del fratello, che vorrebbe salvarlo, inutili e noiose.