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venerdì 25 aprile 2014

On the way home - Tornando a casa

Il post di questo 25 Aprile lo voglio dedicare alle persone che in quegli anni vissero l'amara esperienza dell'esilio, del confino, della clandestinità, dell'internamento o, più in generale, della lontananza forzata da casa.
Chi non ha avuto almeno un familiare costretto a riparare all'estero per sfuggire alle persecuzioni della dittatura, o rinchiuso in una prigione, o internato in un campo di lavoro?
Se infatti nel ventennio le prigioni si riempirono degli oppositori al regime, furono moltissimi anche i prigionieri di guerra nonché i militari italiani deportati in Germania e nei territori occupati all'indomani dell'armistizio del 1943, dove erano costretti a lavorare in condizioni terribili.
E moltissime furono anche le famiglie italiane che accolsero e nascosero, rischiando molto e dividendo il poco che c'era in quei giorni, altri che pure erano lontani da casa, dagli sbandati dell'esercito alleato, ai militari italiani in fuga, ai partigiani, ai perseguitati.
E poiché quello dell'esilio è un dolore antico, andiamo a riscoprire gli scritti di uno dei nostri ospiti preferiti, Marco Tullio Cicerone.
Anche Cicerone, che difese e salvò molte persone dalle ingiustizie dei potenti, infatti, conobbe la via dell'esilio a seguito della persecuzione del tribuno della plebe Clodio Pulcro che prima lo fece condannare attraverso una legge retroattiva e successivamente fece approvare altre leggi che gli proibissero di avvicinarsi al confine dell'Italia e che gli confiscassero le proprietà.
Attraverso le “Lettere ai familiari” conosciamo, dunque, la sua parte più autentica.
Prendiamo qualche stralcio da questa lettera, scritta da Brindisi alla famiglia il 30 Aprile del 58 a.C. .

Ego minus saepe do ad vos litteras quam possum, propterea quod cum omnia mihi tempora sunt misera, tum vero, cum aut scribo ad vos aut vestras lego, conficior lacrimis sic ut ferre non possim

Vi scrivo il meno possibile, poiché tutti i miei momenti sono estremamente infelici ma quando vi scrivo o leggo le vostre lettere mi sciolgo in lacrime in modo tale che non riesco a sopportalo.

Già, quando il dolore è costante cerchiamo di contenerlo chiudendoci in noi stessi, ma quando siamo costretti ad aprirci con le persone che amiamo, ecco che dilaga.

Nos Brundisi apud M. Laenium Flaccum dies xiii fuimus, virum optimum, qui periculum fortunarum et capitis sui prae mea salute neglexit neque legis improbissimae poena deductus est quo minus hospiti et amicitiae ius officiumque praestaret. Huic utinam aliquando gratiam referre possimus!

Sono stato a Brindisi per 13 giorni presso M. Lenio Flacco, uomo eccellente, che ha trascurato per la mia salvezza il pericolo di perdere i beni e la sua testa e che nemmeno dalla pena prevista da una legge ingiustissima si è lasciato dissuadere dall'adempiere ai doveri dell'ospitalità e dell'amicizia. Magari possa io un giorno restituirgli il favore!

Ed è vero, quando attraversiamo un brutto periodo, c'è sempre qualcuno che con la sua grandezza d'animo rende il nostro cammino meno buio e che con il suo esempio ci fa venir voglia di uscire da quella mediocrità che la prudenza suggerirebbe.

Opinor, sic agam : si est spes nostri reditus, eam confirmes et rem adiuves ; sin, ut ego metuo, transactum est, quoquo modo potes ad me fac venias. Unum hoc scito : si te habebo, non mihi videbor plane perisse.

Penso di fare così: se vi è speranza di un mio ritorno, rafforzala e lavora per essa; se, come temo, è tutto finito, cerca di venire da me in qualsiasi modo possibile.Solo questo sappi: se ti avrò vicino, non mi sembrerà di esser del tutto perduto.

Essere soli fa paura.

Viximus, floruimus ; non vitium nostrum sed virtus nostra nos adflixit ; peccatum est nullum, nisi quod non una animam cum ornamentis amisimus. Sed si hoc fuit liberis nostris gratius nos vivere, cetera, quamquam ferenda non sunt, feramus.

Siamo vissuti, abbiamo avuto dei bei momenti; a nuocerci non fu il vizio ma la nostra virtù; io non ho commesso alcun peccato, se non quello di non aver abbandonato la vita, insieme ai suoi ornamenti. Ma se che io viva è più gradito ai nostri figli sopporterò tutto il resto, per quanto sia insopportabile.

I Romani avevano, infatti, il costume di porre fine alla loro vita quando questa fosse divenuta insopportabile, ad esempio per aver perduto l'onore o per essere alla mercé del proprio nemico: Cicerone considera una colpa non essersi tolto la vita, ma sceglie di vivere per i propri figli. In queste situazioni, inoltre, quello che ci amareggia di più è che il nostro agire ha causato dei mali alle persone che amiamo e quindi Cicerone cerca conforto nel fatto che la sua famiglia soffre a seguito di una sua condotta virtuosa e non a causa di qualcosa di vergognoso da lui commesso: lo scrive alla moglie ma, a mio avviso, lo sta ripetendo a sé stesso.

Una lettera simile, nei contenuti, a questa, che è di oltre 2000 anni fa, sarà stata scritta molte volte negli anni della dittatura e della guerra e continuerà ad essere scritta ovunque si è costretti a fuggire o si viene strappati alla propria famiglia.
Se la “Resistenza” è rivolta morale, la “Liberazione” è poter tornare a casa. 
Buon 25 Aprile!


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