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martedì 27 gennaio 2015

Hard Times – L'utile ed il dilettevole

Portiamo avanti, in parallelo, anche la nostra trattazione storico-filosofico-letteraria dei rapporti tra Stato e cittadino e introduciamo quindi il pensiero di uno dei principali teorici dell'utilitarismo e del pragmatismo democratico, il filosofo Jeremy Bentham.
In soldoni, il pensiero di Bentham era il seguente: qualsiasi legge è una restrizione della libertà e della felicità dell'individuo, tuttavia il governo è chiamato a fare delle scelte; se una legge produce più effetti positivi che effetti negativi, la legge è buona, altrimenti è cattiva. Di conseguenza, un governo è nel giusto se con le sue misure assicura la felicità della grande maggioranza dei suoi cittadini.
Nella sostanza, è “la moralità del pallottoliere” ed il trionfo della Statistica. Frasi ad effetto a parte, l'etica utilitarista era predominante nell'Inghilterra vittoriana tanto che Charles Dickens, che aveva in odio tali tesi, scrisse, appunto, “Hard Times” .
Hard Times” (“Tempi duri”) è davvero un gran libro e non dovrebbe mai mancare nella libreria di chi è chiamato a prendere delle decisioni che riguardano la collettività.
Vediamo cosa ci racconta...
Nell'immaginaria Coketown, letteralmente “La città del carbone”, c'era spazio solo per i “Fatti”. La città stessa era un monumento ai Fatti, costruita secondo l'unico criterio “valido”: quello dell'utilità.
E indovinate su cosa era basato il sistema scolastico, che aveva in Mr. Grandgrind il suo profeta?

Now, what I want is, Facts. Teach these boys and girls nothing but Facts. Facts alone are wanted in life. Plant nothing else, and root out everything else. You can only form the minds of reasoning animals upon Facts: nothing else will ever be of any service to them.

Ora, ciò che io voglio è: Fatti. Insegnate a questi ragazzi e a queste ragazze soltanto i Fatti. I soli Fatti sono voluti nella vita. Non piantate null'altro e sradicate ogni altra cosa. Si possono formare le menti di animali dotati di ragione solo sui Fatti: nient'altro sarà mai loro di qualche utilità.

E quindi, non c'è spazio per la meraviglia che è tipica dell'infanzia né per la compassione verso chi è meno fortunato. Chi è benestante, ha un bel po' di pelo sullo stomaco e si preoccupa soltanto che venga perpetuato l'ordine precostituito, ossia che gli appartenenti alla classe sociale più bassa, che sono chiamati “The Hands” (“Le mani”) e che vivono in stato di abbrutimento e di miseria, stiano al loro posto e non avanzino rivendicazioni.
L'altro personaggio principale è, infatti, lo spietato banchiere Mr. Bounderby, anche lui bersaglio dei sarcasmi di Dickens. Mr. Bounderby è perfino peggiore di Mr. Grandgrind, in quanto espressione della tesi sulla presunta superiorità morale dei ricchi. Mr. Bounderby ripete per tutto il romanzo che lui viene dal basso e che si è fatto da solo (in verità non è così, alla fine sua madre lo svergognerà pubblicamente): di conseguenza, “i poveri sono poveri per colpa loro”.
Ma il castello dei Fatti crollerà e travolgerà i suoi architetti.
Mr. Grandgrind sperimenterà sulla propria pelle il fallimento delle sue teorie, in quanto suo figlio Tom deruberà la banca di Bounderby, dove lavorava, e dovrà fuggire all'estero mentre sua figlia Louisa, che proprio per l'educazione ricevuta aveva accettato di sposare Bounderby (molto più vecchio di lei ma “buon partito”), cadrà in profonda depressione: Mr. Bounderby, dal canto suo, rimarrà solo e morirà di un attacco cardiaco.
L'unico personaggio che avrà una vita felice sarà Sissy che, dopo esser stata abbandonata, da bambina, dal padre, è stata cresciuta nella famiglia di Mr. Grandgrind per fare un “esperimento sociale”, ossia per vedere se, una volta educata ai “Fatti”, avrebbe abbandonato i suoi sogni infantili.
Ma Sissy dimostrerà subito la sua scarsa affinità con i “Fatti” e , senza contrapporsi mai apertamente agli ingranaggi di Coketown ma lasciandosi docilmente trascinare dalla vita, alla fine avrà ragione.
Perché non c'è felicità senza immaginazione e senza compassione.

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