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mercoledì 4 novembre 2015

Romanzo "Cafone"

Spostiamoci dalla valle del Belbo alle montagne abruzzesi, più precisamente in prossimità di Avezzano...Esatto, stiamo per parlare di “Fontamara” (Ignazio Silone, 1933). Confesso che non so spiegare il motivo di questa scelta, io “scrivo a braccio” , senza doppie finalità, ed il collegamento tra il romanzo di Pavese e quello di Ignazio Silone mi è venuto naturale, quasi automatico.
Fatto sta che quando ci si trova di fronte ad un'opera come “Fontamara”, nella quale quasi ogni frase è affilata come una sentenza, è difficile decidere da dove iniziare a fare le nostre riflessioni.
E allora, seguiamo il consiglio del re in “Alice nel paese delle meraviglie”, ossia cominciamo dall'inizio e andiamo avanti fino a quando non arriviamo alla fine: una volta lì, ci dobbiamo, gioco forza, fermare.
Iniziamo dunque dalla Prefazione, nella quale l'autore spiega la sua scelta di scrivere “Fontamara”:

Io so bene che il nome di cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, sia della campagna che della città, è ora termine di offesa e di dileggio; ma io l’adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto, e forse anche di onore.

Fontamara è quindi un racconto sulla povertà, sullo sfruttamento e sull'assuefazione ai soprusi, ingiustizie che, ancor oggi, con buona pace dei “negazionisti”, sono ben lungi dall'essere debellate .
Le vicende dei protagonisti si svolgono, poi, contemporaneamente con l'avvento del fascismo..Sapete come i fontamaresi iniziano ad accorgersi del cambiamento? Erano abituati a percepire, in prossimità delle elezioni, 5 lire per ogni familiare morto che veniva, poi, fatto regolarmente votare per Don Circostanza, paladino e rovina del paese...E così, per molto tempo, non sanno nemmeno che ci sono i fascisti al governo finché, un giorno, vengono a sapere che le elezioni “non servono più” e che, quindi, anche quest'aiuto “dall'aldilà” è venuto meno.
Ma quello che riesce a smuovere l'inamovibile gente di Fontamara è la deviazione del corso d'acqua che irrigava i loro campi, grazie alla petizione truffa che chiede al governo

che il ruscello venga deviato dalle terre insufficientemente coltivate dei fontamaresi verso le terre del capoluogo i cui proprietari possono dedicarvi maggiori capitali”.

Già, quella della lotta per l'acqua, con il capitale, da una parte, che vuole accaparrarsela e la gente, dall'altra, che resiste, è veramente una storia infinita e le donne di Fontamara non fanno eccezione ed insorgono bellicose. Ma non fanno in tempo ad accorgersi di un imbroglio che cadono subito in un altro perché, sfortunatamente, interviene in loro difesa Don Circostanza, che trova l'uovo di Colombo:

"Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri. Esiste per ciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello e i tre quarti dell’acqua che resta saranno per i Fontamaresi. Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè, un po’ più della metà.”

E non c'è nulla da fare, nuovi imbrogli sono sempre in agguato...E quando gli imbrogli non bastano più, arriva la censura......

"Ma a Fontamara nessuno sa neppure che cosa sia la politica" osservò giustamente Marietta.
"Nel mio locale nessuno ha mai parlato di politica."
"Di che si parla, dunque, se il cav. Pelino tornò al capoluogo tutto infuriato?" chiese Innocenzo sorridendo.
"Si ragiona un po' di tutto" riprese a dire Marietta. "Si ragiona dei prezzi, delle paghe, delle tasse, delle leggi; oggi si ragionava della tessera, della guerra, dell'emigrazione."
"E di questo non si dovrebbe più parlare, secondo l'ordine del podestà" chiarì Innocenzo. "Non è ordine speciale per Fontamara, ma in tutta Italia è stato diramato quest'ordine. Nei locali pubblici non bisogna più parlare di tasse, di salari, di prezzi, di leggi.”
"Dunque, non bisogna più ragionare" concluse Berardo.

E viene così appeso il cartello “Per ordine del Potestà sono proibiti tutti i ragionamenti”.
E Berardo, l'eroe ribelle del romanzo, per una volta tanto, è d'accordo, perché “con i padroni non si ragiona”.
Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano (o fingono di non ragionare). ….Il cafone, invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dare la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra...”.

Ma se la censura non è sufficiente a placare gli animi di quelli che vedono approssimarsi i tempi della fame, arriva la violenza vigliacca del Potere.
E vediamo come Silone descrive gli attori di queste prodezze....

Anche loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestieri, o con molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di derubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte ed in gruppo, cattivi, malvagi, traditori. Sempre sono stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno.

Già, ma perché riescono ad imporsi? Perché, degli altri poveri, ciascuno pensa ai casi propri, ognuno è a capo di una famiglia e pensa alla propria famiglia, lasciando agli altri le faccende pubbliche.
E così si consuma il dramma di Fontamara in una soluzione di continuità sbalorditiva: il racconto si apre con il paese che viene lasciata al buio (in quanto viene tagliata la luce elettrica per morosità irrimediabile) e la gente si perde, progressivamente, in un'oscurità sempre maggiore.

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