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sabato 25 maggio 2013

Ius soli

Uno dei dibattiti più accesi di queste ultime settimane è stato innescato per appunto dalla proposta di concedere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati sul nostro territorio (“ius soli”).
Beh, come al solito, andiamo a vedere se possiamo avere qualche illuminazione dai classici.. Del resto i Romani con la loro lungimirante politica di inclusione (lo status di cittadino Romano poteva essere acquisito da tutti, anche da chi era nato schiavo) costruirono un impero e fecero una bella fetta della storia di questo nostro pianeta.
Mi è venuta in mente, in proposito, “La difesa del poeta Archia” (“Pro Archia poeta oratio”), un piccolo capolavoro di una nostra vecchia conoscenza, Cicerone, di cui ho scelto di riportarvene qualche stralcio perché ci fornisce più spunti di riflessione.
Qualche cenno introduttivo, giusto per fornire a tutti un quadro della vicenda: Archia era un poeta nato ad Antiochia e sottoposto a processo con l'accusa di usurpazione della cittadinanza romana. Secondo la legge Plauzia Papiria veniva concesso lo status di cittadino romano a tutti i cittadini delle comunità italiche federate con Roma a condizione che risultassero, al momento dell'entrata in vigore della legge, iscritti nei registri di queste comunità e che regolarizzassero la loro posizione di fronte al Pretore entro 60 giorni. Facile immaginare che in quei giorni ci siano stati abusi, raccomandazioni e imbrogli, fatto sta che, per complotto politico (Archia era protetto da Lucullo, notoriamente inviso a Pompeo che lo aveva sostituito al comando nella guerra contro Mitridate) o per eccessivo zelo del funzionario di turno (la posizione di Archia non era proprio solidissima, in quanto dichiarava di essere iscritto nella comunità di Eraclea, i cui registri erano andati distrutti), il poeta viene trascinato in Tribunale. Fortuna per lui che poteva avvalersi della difesa del più grande avvocato di tutti i tempi che imposterà la linea difensiva in modo estremamente originale: non solo cercherà di colmare il “gap” di prove documentali attraverso le testimonianze di personaggi illustri, ma dimostrerà che Archia agiva come un “cittadino Romano”:

...Sed quoniam census non ius civitatis confirmat ac tantum modo indicat eum qui sit census ita se iam tum gessisse pro cive eis temporibus quibus tu criminaris ne ipsius quidem iudicio in civium Romanorum iure esse versatum et testamentum saepe fecit nostris legibus et adiit hereditates civium Romanorum et in beneficiis ad aerarium delatus est a L. Lucullo pro consule

Ma poiché l'iscrizione al censimento non conferma il diritto di cittadinanza ma indica che colui che è stato censito agiva da allora come cittadino, ebbene a quei tempi colui che incrimini per non aver goduto, nemmeno a suo giudizio, del diritto dei cittadini Romani , spesso ha fatto testamento secondo le nostre leggi e ha adito a eredità di cittadini Romani ed è stato segnalato all'erario tra i gratificandi dal proconsole L.Lucullo.

In sintesi, se l'iscrizione alle liste del censo dimostra che una persona agiva come cittadino Romano, l'agire da cittadino Romano dimostra l'iscrizione alle liste del censo...Devo dire che la tesi mi piace..in fin dei conti, i bambini figli di immigrati che giocano con i miei nipoti, adorano la pizza, litigano per le figurine e tifano, in linea di massima, per la Roma e per Totti : quindi, se agiscono da “bambini romani”, sono “bambini romani”.

Ma la peculiarità della “Pro Archia poeta oratio” è l'elogio della poesia e delle altre attività letterarie, che costituisce una parte centrale della linea di difesa.

Sit igitur iudices sanctum apud vos humanissimos homines hoc poetae nomen quod nulla umquam barbaria violavit. Saxa et solitudines voci repondent bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt: nos instituti rebus optimis non poetarum voce moveamur?

Sia dunque sacro presso di voi, o giudici, uomini umanissimi, questo nome di poeta che mai nessuna gente barbara ha violato. Sassi e deserti rispondono, bestie spesso immani sono piegate dal canto e si fermano: e noi, educati nelle migliori discipline, non siamo commossi dalla voce dei poeti?

Cosa ci dice Cicerone? Per prima cosa ci ricorda che la poesia e le lettere non hanno confine. La seconda cosa su cui vorrei soffermarmi è l'espressione “humanissimos homines” che l'avvocato usa ad arte: non bisogna vergognarsi della propria sensibilità perché questa ci rende qualcosa più che uomini, ci rende “umani”, anzi “umanissimi”.
Il post di oggi è lungo, lo so, ma c'è un ultimo stralcio che voglio riportare:

Atque sic a summis hominibus eruditissimisque accepimus, ceterarum rerum studia et doctrina et praeceptis et arte constare, poetam natura ipsa valere et mentis viribus excitari et quasi divino quodam spiritu inflari.

Inoltre abbiamo appreso da uomini eccelsi e eruditissimi che lo studio delle altre discipline consta di dottrina, precetti e tecnica, mentre il poeta si avvale della [sua] natura ed è mosso dalle forze della mente ed è animato quasi da uno spirito divino.

Giovava ricordarlo, in quanto ancora oggi chi si dedica alle lettere spesso non viene tenuto nel giusto apprezzamento.

Infine le conclusioni: è ovvio che la concessione del diritto di cittadinanza va regolamentata, tuttavia non dimentichiamo la grandezza della nostra civiltà e della nostra storia: Cicerone, che era un grande uomo, criticò come disumana la legge Papia (65 a.C.) che prevedeva l'esilio per chi esercitasse abusivamente i diritti di cittadinanza. 

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