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venerdì 18 maggio 2012

Fino alla fine del tempo


Nel 1969 Samuel Beckett riceve il premio Nobel per la letteratura e visto che l'altro ieri siamo tornati a parlare di teatro con Dario Fo, cogliamo la palla al balzo per rimediare alle solite gravi dimenticanze di questo blog e parliamo dunque del "teatro dell'assurdo".
Con il "teatro dell'assurdo" (espressione fin troppo abusata) si intende trasmettere l'angoscia per qualcosa che non si comprende nonchè il proprio conflitto interiore con il mondo.
Possiamo individuare in Kafka, altro illustre dimenticato in queste pagine, il "progenitore" di questo tipo di teatro, che si caratterizza per il mix di tragico e comico, di onirico e realistico, nonchè per la forte disgregazione del linguaggio.
Gli anni d'oro di questo stile teatrale sono gli anni '50, nei quali vengono rappresentati "La cantatrice calva", di Ionesco, e "Aspettando Godot", di Beckett (per l'appunto!).
Nè la cantatrice calva nè Godot esistono (o, almeno, "nessuno li ha visti"): della prima si dice che "si pettina sempre alla stessa maniera" ed il secondo invia ogni giorno un messaggero dicendo che verrà il giorno seguente.
Beh, l'interrogativo d'uopo è: perchè aspettare Godot?
La risposta più logica è "per passare il tempo":  Vladimir e Estragon celebrano il loro rito quotidiano per fare qualcosa mentre aspettano una fine, o meglio, la fine del tempo: Godot dunque non "verrà" fino a quando il tempo non si sarà fermato.
Ognuno ha visto in Godot quello che ha voluto: Dio, il destino, la morte..Ed in effetti, la grandezza dell'opera è proprio questa, "l'astrazione": Godot è l'Attesa per eccellenza, quella con la A maiuscola.


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