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domenica 8 giugno 2014

Il primo americano

Saltiamo a piè pari Hobbes e Locke, perché da studente me li sono dovuti sorbire in tutte le salse, e andiamo a trovare un uomo veramente eccezionale: Benjamin Franklin.
Il personaggio mi ha sempre affascinato, sin da piccolo: editore di successo, con il suo “Poor Richard's Almanack”, che conteneva un po' di tutto, dalle previsioni del tempo all'oroscopo, dai proverbi agli esercizi di matematica (l'Almanacco fu fatto tradurre in italiano da Napoleone), Padre Fondatore degli Stati Uniti d'America, inventore (già, oltre al parafulmine, inventò le lenti bifocali e la stufa-caminetto “Franklin” [e molte altre invenzioni gli vennero attribuite]).
A lui dobbiamo anche l'idea dell'ora legale.
Quello che però oggi mi interessa mettere in risalto è il suo contributo al discorso che poco a poco stiamo sviluppando, ossia quello dei rapporti tra cittadino e Stato.
Per Franklin, il benessere di una nazione dipende dalla virtù dei suoi cittadini. Sono gli imprenditori indipendenti, con la loro laboriosità e parsimonia, a far prosperare il Paese.
L'attenzione si sposta quindi dalla virtù dei governanti alla virtù dell'individuo: inutile aspettare il salvatore della Patria, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare:

Lose no time. Be always employ’d in something useful; cut off all unnecessary actions.

Non perdere tempo. Sii sempre impegnato in qualcosa di utile; metti da parte tutte quelle azioni che non servono.

L'imprenditorialità, per Franklin, è legata, dunque, in modo indissolubile al bene comune. L'imprenditore “cittadino modello” è quello che “gives back to the community”, ossia colui che restituisce alla sua comunità. Il successo è responsabilità.

Alla prossima.


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