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martedì 10 gennaio 2012

Fragilità

Restiamo in Italia per parlare del più grande poeta italiano dell'800 e di un intellettuale di livello mondiale, Giacomo Leopardi. Pur essendo molte delle sue posizioni materialiste e basate sui principi dell'Illuminismo, di fatto fu un romantico e nelle sue opere trattò a tutto tondo i temi propri del Romanticismo, dal dolore dell'esistenza alla ricerca di un fine universale che dia un senso alla vita. I critici mettono l'accento sul pessimismo di questo poeta, ma a me, in verità, questa storia del "pessimismo cosmico" ha veramente stancato, sembra una di quelle definizioni ad effetto che fanno rumore ma non significano nulla(prendo a prestito un pezzo del Macbeth citato in un altro post). Si, Leopardi era materialista e considerava la materia come una prigione contro i cui muri si andavano a infrangere tutte le aspirazioni umane; ma proprio perchè lo spirito dell'uomo tende comunque all'infinito, non ci sarà mai una resa definitiva: i patrioti italiani che, in questo secolo di rivolte, dicevano, come racconta Carducci, "Con Manzoni in chiesa e con Leopardi sulle barricate", ne sono la riprova. Confesso che questa immagine di Leopardi "barricadero" mi intriga, così come l'immagine di un Leopardi "socialista", con la sua ricetta della solidarietà come unico baluardo contro le ingiurie che la materia propina all'individuo ("La Ginestra"). Ma forse la definizione più bella è quella di Francesco De Sanctis

Leopardi produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtú, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. 

Potrebbe sembrare un "arrampicarsi sugli specchi", ma stiamo parlando oltre che di uno dei più grandi poeti italiani, anche di un filosofo di primo piano, quindi ci andrei piano prima di bocciare l'interpretazione di De Sanctis. Concludo riprendendo il concetto della fragilità della vita umana, caro a Leopardi, e faccio un salto indietro nei secoli per ricordare la scelta di Achille, tra una vita breve e gloriosa e una vita lunga ma oscura, a dimostrazione che chi ha scritto l'Iliade la drammaticità della fragilità dell'esistenza l'aveva esaminata magistralmente. Nell'Odissea Omero farà poi fare una brusca retromarcia all'eroe ("Preferirei piuttosto fare il servo d'un bifolco che campasse giorno per giorno di uno scarso e misero cibo, piuttosto che essere sovrano nel regno dei defunti"), ma a me piace citare la frase che nel film Troy Achille dice a Briseide: 

Ti dirò un segreto, una cosa che non insegnano. Gli Dei ci invidiano, ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l'ultimo per noi, ogni cosa è più bella per i condannati a morte. E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora, questo momento non tornerà.

Si, un eroe come Achille avrebbe potuto dire benissimo una cosa del genere e a noi sta ricordarcene.

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